Mia cara Berenice,
la visita del Presidente cinese a Mosca mi induce a ritornare sulla questione del ruolo di Pechino nella eventuale risoluzione della crisi ucraina.
Avevo ipotizzato che si potesse fare leva sulla proverbiale attitudine ad commercium della Cina per offrirle uno snodo della Via della Seta, contratti di ricostruzione, diritti minerari nel Donbass, magari perfino il ruolo di osservatore o forza di interposizione (peacekeeper).
Questo scenario, tuttavia, si basa sull’assunto che gli Stati Uniti siano disposti a fare grosse concessioni alla Cina pur di smettere di inviare in Ucraina armi che potrebbero più utilmente schierare nel Pacifico… sempre contro la Cina. Un dispendio di forze che potrebbe indurre Pechino a una molle e pelosa neutralità filorussa.
Gli Stati Uniti, però, potrebbero rilanciare, riducendo la Russia così a mal partito da costringere Pechino a una scelta: inviarle armi destinate all’invasione di Taiwan o perdere l’unico alleato di peso. Si spiegherebbe così il recente indurimento della Casa Bianca, senza troppe proteste da parte del Partito Repubblicano.
Questo alzare la posta rischia di mettere a dura prova la resistenza dell’Ucraina, le cui risorse demografiche sono scarse e, a differenza di quelle finanziarie e militari, non possono essere rimpinguate… ma è davvero così? Personalmente, sono certo che l’Ucraina è già piena di soldati polacchi senza mostrine. Inoltre, mandare uomini senza rompere la neutralità non è impossibile come si crede, si possono costituire unità di “volontari”: lo fece l’Italia nella guerra di Spagna, lo fece la Cina nella guerra di Corea. Si possono inviare “consiglieri militari”. Le guerre si possono internazionalizzare. Nella Siria filorussa, l’esercito del Governo si compone in realtà di miliziani iraniani e Hezbollah, militari russi, paramilitari della più varia e imprecisata provenienza.
Insomma, non mi sento di escludere l’all in americano.
Che fai, vedi?
Stan