All in

Mia cara Berenice,

la visita del Presidente cinese a Mosca mi induce a ritornare sulla questione del ruolo di Pechino nella eventuale risoluzione della crisi ucraina.

Avevo ipotizzato che si potesse fare leva sulla proverbiale attitudine ad commercium della Cina per offrirle uno snodo della Via della Seta, contratti di ricostruzione, diritti minerari nel Donbass, magari perfino il ruolo di osservatore o forza di interposizione (peacekeeper).

Questo scenario, tuttavia, si basa sull’assunto che gli Stati Uniti siano disposti a fare grosse concessioni alla Cina pur di smettere di inviare in Ucraina armi che potrebbero più utilmente schierare nel Pacifico… sempre contro la Cina. Un dispendio di forze che potrebbe indurre Pechino a una molle e pelosa neutralità filorussa.

Gli Stati Uniti, però, potrebbero rilanciare, riducendo la Russia così a mal partito da costringere Pechino a una scelta: inviarle armi destinate all’invasione di Taiwan o perdere l’unico alleato di peso. Si spiegherebbe così il recente indurimento della Casa Bianca, senza troppe proteste da parte del Partito Repubblicano.

Questo alzare la posta rischia di mettere a dura prova la resistenza dell’Ucraina, le cui risorse demografiche sono scarse e, a differenza di quelle finanziarie e militari, non possono essere rimpinguate… ma è davvero così? Personalmente, sono certo che l’Ucraina è già piena di soldati polacchi senza mostrine. Inoltre, mandare uomini senza rompere la neutralità non è impossibile come si crede, si possono costituire unità di “volontari”: lo fece l’Italia nella guerra di Spagna, lo fece la Cina nella guerra di Corea. Si possono inviare “consiglieri militari”. Le guerre si possono internazionalizzare. Nella Siria filorussa, l’esercito del Governo si compone in realtà di miliziani iraniani e Hezbollah, militari russi, paramilitari della più varia e imprecisata provenienza.

Insomma, non mi sento di escludere l’all in americano.

Che fai, vedi?

Stan

99 Luftballons

Mia cara Berenice,

in una scena degna della Marvel, gli americani si sono raccolti davanti alla TV per vedere un caccia F-22 abbattere un pallone aerostatico cinese al largo della Costa Orientale. Per Pechino, raccoglieva dati meteorologici ed era stato accidentalmente spinto dal vento in direzione degli Stati Uniti; per Washington, era un pallone spia.

Palloni da osservazione… non se ne vedevano dalla Grande Guerra, quando i cieli erano un intreccio di biplani variopinti pilotati da aristocratici, un vero circo volante da fanciulleschi applausi, a paragone dell’inferno delle trincee.

Anche per questo, forse, mongolfiere e dirigibili ancora ci affascinano, hanno quel delicato sapore retrò e steampunk a cui dobbiamo la loro apparizione in film come “Indiana Jones e l’ultima crociata” (USA, 1989) e “Sucker Punch” (USA, 2011), nonché nella saga videoludica di “Red Alert”, in cui l’Armata Rossa schiera il possente dirigibile corazzato Kirov.

Anche per questo, forse, trovo rassicurante il raffronto fra questo incidente e quello dell’U-2 abbattuto sui cieli sovietici nel 1960: è difficile immaginare una guerra nucleare scatenata da un pallone aerostatico. Non a caso, la celebre canzone “99 Luftballons” dei Nena, per deridere la paranoia della burocrazia militare della Guerra Fredda, mostra appunto dei caccia scagliati nel cielo per abbattere dei palloncini.

È come se, in qualche modo, il primo sconfinamento aereo della Cina riflettesse la storia di un Paese privo – a differenza della Russia – di una storia di espansionismo. Come le altre Potenze asiatiche, la Cina ha piuttosto la tendenza a ripiegarsi su se stessa e isolarsi, in nome di una presunta superiorità culturale. Pechino è sempre stata molto attiva nel ripristinare i suoi confini storici, ma lo ha sempre fatto con mezzi pacifici, rifiutando perfino la prima offerta di restituzione di Macao da parte del Portogallo, ritenuta prematura. Non interferisce in modo particolare negli affari di antichi Stati vassalli dell’Impero, come il Vietnam, le Coree o il Giappone. Su Taiwan, tutto sommato, non ha avuto politiche estremiste, sparando più carte bollate che proiettili. L’unica eccezione è la brutale annessione del Tibet, ma si tratta, appunto, di un’eccezione, connotata da moltissime circostanze peculiari. Il Tibet stesso aveva mantenuto una grande ambiguità sulla sua nominale soggezione alla sovranità cinese. Era una teocrazia medievale – per quanto romantica -, arretrata e assolutamente incapace di difendersi. Soprattutto, quella non era la vera Cina, ma la Cina maoista, una parantesi in cui si tentò di estirpare, con violenza disperata e inutile, la millenaria cultura confuciana del Paese.

Insomma, tutto sommato si può sorridere immaginando le più sofisticate navi della Marina degli Stati Uniti scandagliare l’Atlantico, alla ricerca spasmodica di frammenti del pallone disintegrato da spedire nei laboratori militari e del Ministero della Sicurezza Interna.

Un clownesco saluto.

Stan

Mari contesi

Mia cara Berenice,

oggi, sui cieli del Mar di Barents, c’è stato un incontro ravvicinato tra un ricognitore norvegese e un caccia russo. Il ruggito del reattore del MIG sembra fare eco alle parole del Presidente russo che, per consolarsi delle sconfitte terrestri contro l’Ucraina, ha rivendicato il ripristino della piena sovranità sul Mar d’Azov. Del resto, tra i tanti e ancora misteriosi motivi che hanno determinato l’invasione russa si possono annoverare anche il Mar Nero e la storica base navale di Sebastopoli.

Sì, gli Stati litigano anche per l’acqua salata. La rivendicazione del Golfo della Sirte da parte della Libia ha portato a numerosi incidenti con la Marina degli Stati Uniti che avrebbero contribuito a indurre la Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista a pianificare ed eseguire sanguinosi attentati in Europa, tra cui quello celeberrimo di Lockerbie.

Per non parlare dello Stretto dei Dardanelli, oggetto di cupidigie, guerre e intrighi letteralmente da secoli.

Secondo molti, la prossima frontiera saranno il Mar Artico e i Mari della Cina, appetibili anche e soprattutto per le loro risorse minerarie. In conformità ai desiderata degli Stati, infatti, il diritto internazionale si è evoluto, salvaguardando sempre meno la libertà di navigazione e sempre di più i diritti degli Stati costieri su piattaforma continentale, fondali e Zone Economiche Esclusive.

Ma qual è lo Stato costiero, se le coste di più Stati sono contigue o prospicenti? Quid se uno Stato possiede una piccolissima isoletta, come il Regno Unito che annetté con tanto di Proclama Reale, sbarco dei marine e alzabandiera lo scoglio di Rockall, spazzato dalle onde dell’Atlantico del Nord, nel 1955? E se l’isoletta è artificiale, come quelle che la Cina va disseminando per l’Oceano? E l’Artide, che non è un continente, a differenza dell’Antartide, è mare o è terra? Il diritto e la prassi internazionali sembrano propendere decisamente per la prima ipotesi, mentre esistono rivendicazioni territoriali sull’Antartide, congelate (è proprio il caso di dire) da un trattato del 1959.

Giuristi e geografi, dunque, concordano. L’Artide non è un territorio, ma un tratto di mare su cui galleggia del ghiaccio. Non è necessariamente una buona notizia, in quanto le norme di diritto del mare sono meno chiare e collaudate di quelle relative alla tradizionale sovranità terrestre. Oltretutto, il mare non possiede confini naturali, come fiumi o catene montuose, atti a facilitare i negoziati. Non a caso, quando si pensa a conflitti futuri si guarda sempre – con buona pace della Russia – ai Mari della Cina.

Un saluto.

Stan

Shein

Mia cara Berenice,

tu ti servi solo da sarti inclusi nell’Albo dei Fornitori della Casa Imperiale e, di certo, non conosci Shein.

È una casa di moda cinese, nota perfino a me per il suo marketing sulla Rete, così capillare da risultare inquietante e ricordare i mille volti della Stasi. Bizzarramente, oltretutto, il nome inglese Shein può far pensare a una quinta colonna femminile.

Reclutano qualunque influencer, anche di piccolo cabotaggio. In cambio di vestiti gratuiti, ottengono una videorecensione o un prodotto analogo. Lo styling accorto e i prezzi bassi fanno il resto.

In tal modo, Shein sopravvive a periodiche accuse di dumping, violazione dei diritti dei lavoratori, perfino utilizzo di materiali tossici.

Tutto questo mi ha ispirato il racconto che ti allego.

Stan

SHEIN – LA QUINTA COLONNA

“Insiste che non ha fatto nulla,” ribadì il magistrato, allargando le braccia.

“Cazzate!” Tagliò corto il Commissario della Postale. “Abbiamo esaminato i suoi computer e la sua attività in Rete centimetro per centimetro. Potrei ricostruirle ogni singolo istante della sua giornata”.

“Già, me l’ha detto…”

“Oltretutto, è estremamente abitudinaria per una ragazza così giovane. Alle sette e mezza è già al lavoro. Tra le due e le tre pranza. Ordina online, che lavori da casa o in ufficio. Stesso discorso per la cena, mai prima delle dieci. Dopo cena, sessione di rilassamento…”

“Sessione di rilassamento?”

“Con quella app cinese, ce l’ha anche mia figlia… come si chiama…”

“Cloud”.

“Anche lei ha figlie?”

“No. La uso io”.

“Ah…”

“Funziona benissimo. La provi”.

“Uhm… ci penserò…”

“Ok. Quindi usa Cloud prima di andare a dormire, come me”.

“Prima di violare i server del Ministero, intende dire. Lo faceva di notte. Come io mi alzo a mangiare le patatine”.

“Perché, secondo lei? Di buona famiglia, nessuna affiliazione politica, una brillante carriera davanti nell’informatica”.

“Forse voleva semplicemente dimostrare di saperlo fare: molti pirati informatici sono così”.

“Ma perché mandare tutto ai cinesi, allora? Non la pagavano nemmeno…”

“Questo è il vero mistero”.

“Sicuro che non vi siano sfuggiti quei soldi? Dark Web, criptovalute…?”

“Continueremo a cercare”.

“Sì, per favore”.

Il magistrato congedò il Commissario. Quel caso lo tormentava. Lungo la Nazione si dipanava un filo rosso di strani, inspiegabili crimini di Stato commessi da giovani ragazze. Solo la settimana prima una influencer appena maggiorenne, invitata a un esclusivo party di Milano, aveva aggredito l’amministratore delegato di un’azienda di Stato attiva nel settore aerospaziale e della difesa.

Si sentiva nel cranio i tamburi martellanti dell’ossessione. Rischiava di passare la notte in bianco… per fortuna, c’era Cloud. Si infilò gli auricolari, avviò l’app e chiuse gli occhi. Nel giro di pochi minuti il suo corpo si rilassò completamente, si districò come un nodo, si sciolse sulla poltrona. Un quarto d’ora dopo, era un uomo nuovo, con una luce rasserenata negli occhi.

Si stava preoccupando decisamente troppo. Si era lasciato suggestionare da quei rapporti della Postale, pieni di paroloni in inglese. A ben vedere, non c’erano nemmeno gli estremi per detenere quella povera, graziosa ragazza in attesa di giudizio. Andava scarcerata.

Infausti presagi all’incoronazione

Mia cara Berenice,

l’interminabile e convoluta cerimonia nella Città Proibita si è conclusa, l’Imperatore della Cina, Signore dei Diecimila Anni, è stato intronizzato, ha ricevuto gli omaggi della Corte e dei Governatori e le congratulazioni – invero freddine – del Corpo Diplomatico.

Gli oracoli, però, sono inquieti, le fiamme delle candele tremolano. Al passaggio del corteo imperiale, un ponte si sarebbe tinto di sangue.

L’inelegante e plateale allontanamento del Principe Padre durante la cerimonia ha spezzato il rito e dato scandalo tra cortigiani e eunuchi.

Dagli appartamenti privati trapela la notizia che l’Imperatore sarebbe così terrorizzato e ossessionato dai germi da rifiutarsi di sfiorare mogli e concubine.

A Shanghai e Hong Kong, nelle corporazioni dei mercanti serpeggia la paura, tra le balle di merce e le pergamene impilate. Da lì non si vede armonia tra l’Imperatore e il Cielo, si teme la fuga degli spiriti propizi di prosperità e ricchezza evocati dall’ultimo Grande Imperatore.

I Capi delle Armate, immoti e inquadrati nella piazza d’armi, le lance e i pennacchi al vento, rileggono mentalmente i dispacci pervenuti dagli osservatori militari nelle pianure d’Ucraina. Dello Zar, unico mediatore accettabile tra Occidente e Oriente, hanno copiato non solo le armi, ma anche l’organizzazione e la dottrina. Ora, nelle case dalle lanterne rosse loro riservate, le esili cortigiane gridano e piangono, timorose che il Sovrano spedisca i loro protettori all’assalto delle spiagge di Formosa, protette dal mare e dagli abitanti posseduti dai demoni occidentali.

Un saluto di cartapesta.

Stan

Lo Stretto di Formosa

Mia cara Berenice,

mentre i nostri occhi sono puntati sulle steppe e i campi di grano dell’Ucraina, sullo Stretto di Formosa comincia a prendere forma, a delinearsi nella nebbia di guerra quella che potrebbe essere la futura battaglia per Taiwan.

Niente sbarco cinese in grande stile che rischierebbe di trasformarsi in un carnaio. Piuttosto un blocco aeronavale incruento, giuridicamente nebuloso e favorito dalla geografia. Certo, le incertezze restano molte. Fin dove sarebbero disposti a spingersi gli Stati Uniti per rompere il blocco? E quanto a lungo potrebbe resistere l’opulenta, organizzatissima, ipertecnologica Taiwan?

Due giorni fa, il New York Times ha dedicato all’argomento un articolo di David E. Sanger e Amy Qin, dando voce a numerosi esperti. Il quadro tratteggiato è piuttosto chiaro. La Cina, a seguito del notevole rafforzamento dell’Esercito Popolare di Liberazione degli ultimi decenni, ha già le capacità militari per sottoporre Taiwan a un blocco totale; viceversa, è molto dubbio che protrarre a lungo un simile assedio sia economicamente sostenibile.

In ultima analisi, e come in tutte le guerre e i conflitti, sarà l’economia ad assegnare la palma del vincitore. Sotto questo profilo, al momento né l’Occidente né il Dragone sono in piena salute. Sulle prospettive a lungo termine di uno scontro, ovviamente, è difficilissimo fare previsioni; sono però possibili, almeno, alcune considerazioni.

  1. Alla radice dell’appoggio piuttosto tiepido della Cina alla Russia nella crisi ucraina, la maggior parte degli osservatori vede proprio la riluttanza di Pechino a subire ulteriori sanzioni economiche, oltre a quelle daziarie applicate dall’Amministrazione Trump e confermate da quella attuale.
  2. Secondo la banca dati OEC, la Cina assorbe il 9,1 per cento delle esportazioni americane, gli Stati Uniti il 16,5 delle esportazioni cinesi; se agli Stati Uniti aggiungiamo alcuni dei loro maggiori alleati, come Giappone, Corea del Sud, Canada, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Italia, Polonia, Spagna e Australia, la percentuale schizza al 43,52 per cento. Certo, i beni a basso costo cinesi sono preziosi per le economie avanzate, ma si possono produrre in molti altri Paesi in via di sviluppo.
  3. L’abilità confuciana del regime autoritario e statalista cinese di gestire con efficienza l’economia sembra mostrare la corda, con lo smantellamento dell’autonomia di Hong Kong, la politica COVID zero, la campagna contro miliardari e grandi imprese, gli scricchiolii sul fronte immobiliare e del debito pubblico.

Un salso saluto.

Stan

Potere morbido

Mia cara Berenice,

oggi era previsto maltempo, con una finestra soleggiata a cavallo del mezzogiorno, e devo dire che gli uomini dell’Aeronautica ci hanno azzeccato perfettamente.

Ho pertanto deciso di recarmi alla Fiera di Roma, dove si tiene in questi giorni il Festival dell’Oriente. Raggiungere la Fiera da casa mia, come ricorderai, è comodissimo. Basta uscire, attraversare il parco, prendere il tram fino alla Stazione di Trastevere e, da lì, un treno regionale per l’aeroporto di Fiumicino, scendendo due fermate prima dello scalo. A quel punto, basta attraversare i binari sul sovrappasso pedonale e ci si ritrova all’Ingresso Nord.

Gli organizzatori non avevano attivato in tempo l’acquisto online dei biglietti, tuttavia gli operatori erano efficienti e la lunga fila è stata rapidamente incanalata all’interno dei tre padiglioni.

La qualità dell’evento non era eccelsa, soprattutto per i parametri romani, ma si applica lo stesso principio su cui poggia la mia fedeltà alla TV in chiaro: a ben setacciare, qualche pagliuzza d’oro si trova.

Ad alzare il livello erano soprattutto alcuni stand cinesi che, pur non dichiarandolo, facevano pensare a un imprimatur del Governo di Pechino: uno, ad esempio, esibiva alcune uniformi storiche dell’Esercito Popolare di Liberazione e delle Guardie Rosse, sotto lo sguardo vigile del Presidente Mao.

Era un unicum, tutto il resto appariva affidato all’iniziativa privata più o meno qualificata.

La sollecitudine del Governo cinese nel presidiare un evento non propriamente strategico non mi ha stupito affatto: Pechino tiene molto al potere morbido, come dimostrato dalla fittissima rete di Istituti Confucio. In Italia, hanno aperto i battenti a Roma, Napoli, Torino, Pisa, Bologna, Venezia, Padova, Milano, Macerata, Firenze, Gorizia ed Enna; in Australia, la proliferazione è tale da aver fatto scattare una commissione parlamentare d’inchiesta.

Cos’è il potere morbido o soft power? La capacità di un Paese di suscitare benevolenza ed esercitare influenza culturale. Per le sue peculiari caratteristiche, il potere morbido è spesso proiettato da attori privati, anziché pubblici: si pensi al soft power detenuto dagli Stati Uniti grazie a Hollywood e alle multinazionali.

Forse proprio per questo, la statalizzata Cina fatica ad accrescere il suo soft power che, nonostante il maggior peso specifico del Paese, non mi pare al momento paragonabile a quello proiettato da Corea del Sud e Giappone. Questi ultimi sono riusciti a ritagliarsi in Occidente vere e proprie sottoculture che, da una parte, non possono essere più considerate di nicchia, dall’altra riescono spesso a suscitare una devozione rasentante il fanatismo.

Le difficoltà cinesi, viceversa, sono certificate da un rapporto del 2021 della Rete dei Centri di Studio Europei sulla Cina, scaricabile dal sito dell’Istituto Francese di Relazioni Internazionali.

Un timido saluto e un risolino.

Stan

False friend

Mia cara Berenice,

ci sono notizie che sembrano buone, ma sono in effetti cattive.

Incontri Elizabeth Hurley in un pub: notizia buona, anzi ottima.

Elizabeth Hurley si rivela essere, in effetti, il Diavolo: notizia cattiva, addirittura pessima.

Il riferimento è, ovviamente, a “Indiavolato” (USA, 2000), rifacimento o remake de “Il mio amico il diavolo” (Gran Bretagna, 1967).

In questi giorni, si dice che la Russia stia ricevendo soccorso da Cina e Iran.

La prima ha fatto atterrare un carico di missili in Serbia, storico alleato ortodosso della Russia nei Balcani.

La seconda starebbe inviando armi direttamente alla Russia, via Iraq e Iran.

Ma sono davvero buone notizie per Mosca?

Innanzitutto, la fornitura cinese sarebbe stata acquistata nel 2019. Soprattutto, prima della guerra in Ucraina l’acquisto di armi cinesi da parte della Serbia sarebbe stato considerato uno smacco per la Russia e, molto probabilmente, lo è ancora.

Per quanto riguarda le forniture iraniane, come si suol dire, peggio che andar di notte. Quando devi chiedere aiuti militari all’Iran stritolato dalle sanzioni, probabilmente è ora di accantonare sogni imperiali e nostalgie zariste. Per giunta, secondo il Messaggero, al fine di mettere in sicurezza le linee di rifornimento in Siria la Russia sarebbe stata costretta a riprendere ivi le operazioni militari contro lo Stato Islamico.

Se c’è una buona notizia per il Cremlino, ecco, è il transito delle armi attraverso l’Iraq. Questo conferma quanto il Paese a maggioranza sciita sia scivolato nella sfera d’influenza iraniana, per effetto della disastrosa e inspiegabile guerra voluta dall’Amministrazione Bush nel 2003. Per aggiungere beffa a danno, quell’operazione militare è stata citata dalla Russia nella lettera ufficiale inviata alle Nazioni Unite per giustificare l’invasione dell’Ucraina.

Terrific!

Stan

Il volo Mosca-Pechino è stato annullato

Mia cara Berenice,

comprendo la preoccupazione del colonnello generale von Hazai per un asse Mosca-Pechino, anche se mi sfugge in che modo rafforzare le guarnigioni in Boemia potrebbe controbilanciarlo.

Personalmente, non sono particolarmente preoccupato, credo che questo matrimonio non si farà o, se si farà, rimarrà bianco, freddo e frigido.

Questa guerra ci ha mostrato l’importanza della storia, posto che la Russia pratica l’espansione territoriale dal tempo degli Zar, con buona pace di chi incolpa la NATO.

Ebbene, l’alleanza sino-russa fu tentata già nel secondo dopoguerra. Le condizioni, sulla carta, erano perfette: oltre alla contiguità geografica, Governi comunisti duri e puri al potere in entrambi i Paesi.

Sappiamo come è andata a finire pochi anni dopo, con la rottura violenta e polemica, il maoismo a fare da concorrente ideologico a livello mondiale al marxismo-leninismo, la visita di Nixon a Pechino del 1972.

Il fatto è che si tratta di due Paesi diversi, diversissimi.

La Russia in continua espansione territoriale, interrotta bruscamente da periodici crolli del fronte interno, dovuti all’economia asfittica e a istituzioni inefficienti.

La Cina superpotenza economica piuttosto che militare, dedita più a consolidare il suo vastissimo, complesso e popoloso impero che a espandersi.

Non è cambiata molto.

Ha un piccolo arsenale nucleare, simile a quelli europei, giusto il necessario per avere la certezza di non essere invasa.

È tornata sulla scena mondiale grazie al boom economico innescato dalle riforme del Presidente Deng.

Resta ossessionata dal controllo interno e dal consolidamento dei confini storici: da qui lo stato di polizia, l’ossessione per Taiwan, la miope repressione a Hong Kong e quella, ancora più surreale e assurda, contro milionari, VIP e influencer.

È sull’aspetto economico, tuttavia, che vorrei tornare a mettere l’accento. Secondo dati dalla sezione di ricerca della banca d’investimento Macquarie, citati da Elena Holodny su Insider, ancora nel ‘700 l’economia cinese era oltre sette volte quella della Gran Britannica, la principale Potenza economica, commerciale e marittima europea. Si noti che, in quel momento, l’Impero Cinese era già in declino, eppura ancora a inizio ‘900 superava in termini economici l’Impero Britannico ed era secondo solo agli Stati Uniti. Il crollo si è arrestato nel secondo dopoguerra, fino all’impennata attuale. Secondo Fortune, la Cina supererà anche gli USA, diventando la prima economia mondiale, entro il 2030.

Insomma, una nazione di bottegai, direbbe Napoleone.

E cos’ha in comune una nazione di bottegai con la Russia? Gli Stati Uniti e l’Europa avranno sempre di più da offrire, in termini commerciali e finanziari. Mi spingo a dire che, se non fosse per l’accidente storico di Taiwan, ci sarebbe lo spazio per una Cordiale Intesa… e forse c’è ancora.

Uno speranzoso saluto.

Stan

Covid zero? Zero

Mia cara Berenice,

prendo le mosse dal tuo esempio danese per tratteggiare un’Europa ormai piuttosto chiaramente orientata alla convivenza con il virus.

Fino a poco tempo fa, questa strategia era in gran parte un eufemismo, un po’ come la “difesa flessibile” della Wehrmacht sul fronte orientale. La stessa Danimarca, come tu ricordi, tentò la revoca definitiva di tutte le restrizioni l’anno scorso e fu costretta a fare marcia indietro. Qualcosa di analogo, aggiungo io, avvenne in Italia nell’estate 2020.

Questo per il passato. Ora, invece, ho fiducia che l’effetto combinato di vaccini, immunità naturale e varianti benigne renda la famosa convivenza qualcosa di più di una vuota parola.

Resistono, a Oriente, bastioni della strategia alternativa “covid zero”, basata su test di massa, tracciamento aggressivo dei contatti e restrizioni dure al primo emergere di un focolaio.

Mi chiedo quanto, ancora, queste ridotte possano reggere all’assalto dello sciame omicron. L’Australia ha gettato la spugna. La Cina sta pagando un prezzo molto pesante in termini di isolamento e di gestione delle Olimpiadi Invernali. La Nuova Zelanda si è trovata in gravissimo imbarazzo con il caso Bellis.

Charlotte Bellis è una giornalista televisiva neozelandese di Al Jazeera, inviata a Kabul da Doha. Ha partecipato alla prima conferenza stampa dei talebani dopo la caduta della capitale, ponendo la domanda: “Cosa farete per proteggere i diritti delle donne e delle ragazze?”

A Kabul vive con il fidanzato belga, fotografo del New York Times. Resta incinta. Non può stare in Qatar, dove le donne gravide non sposate finiscono in cella. Per motivi burocratici, non può accompagnare il fidanzato in Belgio. A causa delle rigidissime restrizioni anticovid, non può tornare in Nuova Zelanda. L’unica strada che le si apre davanti è quella per Kabul e finisce col chiedere garanzie ai talebani. Secondo quanto riportato dalla stessa giornalista in una lettera aperta al Governo di Wellington pubblicata dal New Zealand Herald, il suo intelocutore avrebbe risposto con un sorriso: “Siamo felici per lei, può venire e non ci sarà nessun problema. Dica solo che siete sposati e, se la situazione degenera, ci chiami. Non si preoccupi. Andrà tutto bene”.

“Quando una donna sposata e gravida deve ottenere asilo dai talebani,” conclude prevedibilmente la Bellis, “c’è davvero da preoccuparsi”.

Insomma, le politiche di chiusura hanno spesso risvolti paradossali; per una volta, ne converrà anche la destra, tendenzialmente fredda sulle misure di contenimento sanitarie.

Un divertito saluto.

Stan