Mia cara Berenice,
immagina due espatriati della Serenissima Repubblica rimasti bloccati nello Stato Pontificio a causa delle restrizioni dovute alla pandemia.
“Visto che dovremo passare la Santa Pasqua qui, tanto vale andare in Piazza San Pietro a ricevere la benedizione Urbi et Orbi”.
Logica veneta. Semplice, chiara, circolare. La stessa piovuta in testa alla flotta ottomana a Lepanto.
Non la stessa che si applica a Roma.
Avevamo controllato, la mattina, il sito della Santa Sede, laconico quando un responso della Pizia. Arrivati in piazza, l’abbiamo trovata transennata. Vaghissime le indicazioni date dai poliziotti presenti. Forse si sarebbe potuto accedere da via della Conciliazione, forse no. Forse il Santo Padre si sarebbe affacciato, forse no. La benedizione di Schrödinger.
Scontato, invece, l’epilogo: non è stato possibile accedere alla piazza né il Santo Padre si è affacciato al balcone.
Poggiati al Colonnato del Bernini, abbiamo ricevuto, in streaming sul cellulare, la benedizione impartita all’interno della Basilica.
Il Cardinale che l’ha introdotta ha annunciato la concessione dell’indulgenza plenaria a chiunque assistesse al rito “anche attraverso le varie tecnologie informatiche e anche unendosi in spirito”.
O tempora o mores! Una volta, le indulgenze si pagavano a caro prezzo: così caro che i relativi proventi finanziarono proprio i lavori della Basilica di San Pietro e scatenarono la Riforma.
Ora, nemmeno la fatica di accendere un display – operazione che, del resto, può essere onerosa per un anziano o per altra persona in condizioni di fragilità.
Va aggiunto, però, che negare l’indulgenza non equivarrebbe in alcun modo a negare l’assoluzione dai peccati. L’indulgenza, infatti, “è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati” (canone 992 del Codice di Diritto Canonico).
Cos’è, dunque, questa “pena temporale”? Il riferimento potrebbe essere al canone 981. Quest’ultimo prevede che, “a seconda della qualità e del numero dei peccati e tenuto conto della condizione del penitente, il confessore imponga salutari e opportune soddisfazioni”.
Soccorre, sul punto, il Catechismo della Chiesa Cattolica che, al numero 1472, spiega: “Il peccato ha una duplice conseguenza. Il peccato grave ci priva della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la vita eterna, la cui privazione è chiamata la ‘pena eterna’ del peccato. D’altra parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio”.
In pratica, dunque, l’indulgenza plenaria serve a saltare a piè pari il Purgatorio, ascendendo al Paradiso mediante imbarco prioritario.
Le “soddisfazioni” previste dal canone 981 sono invece, con ogni probabilità, le “penitenze” a cui il confessore subordina l’assoluzione: qualche preghiera da recitare, l’impegno a non reiterare il peccato commesso o a ripararne gli effetti (ad esempio, restituendo un oggetto rubato).
Un inflazionato saluto.
Stan