Pirandello

Mia cara Berenice,

come già ho avuto più volte occasione di scriverti, non è raro nell’Urbe imbattersi in set cinematografici… talmente poco raro che, a volte, l’incontro è esso stesso cinematografico.

Ieri sera tornavo dall’ufficio con la mia anonima bardatura di pubblico funzionario, quando, nella piazza antistante uno storico Liceo del centro, mi si sono sono fatti incontro Cardinali, generali e gentiluomini carichi di decorazioni, giovani aristocratiche, dame del gran mondo ingioiellate. Uscivano dall’androne di un palazzo e si dirigevano verso un gazebo dove veniva distribuita loro pizza bianca e porchetta. Davvero su quel tratto di marciapiede, come nell’opera di Pirandello, ciascuno indossava una maschera.

Io stesso, l’ultima volta che sono salito nelle Venezie, poche settimane fa, sono stato informato che mio cugino aveva organizzato una sontuosa festa in maschera sullo zoccolo di terra di famiglia sui colli.

“Verrei volentieri,” ho risposto al suo invito, “ma vedo che è obbligatorio per gli invitati presentarsi in maschera. Il mio bagaglio è leggero, dovrai accontentarti di un costume da funzionario. Del resto, qui al Nord, è assolutamente esotico”.

Ottenuto il benestare, ho indossato la giacca e, al collo, il tesserino dell’Ufficio del Primo Ministro, con tanto di logo della Repubblica. I tempi cambiano anche nel Settentrione e non ero così solo a rappresentare lo Stato: alla luminosa festa inghirlandata, sotto le file di lampadine degradanti dall’albero del bar a forma di galeone piratesco, mi sono imbattuto in agenti di Polizia Municipale in uniforme.

Un completo molto simile, più scuro, l’avevo indossato molti anni prima, a una festa di capodanno sulla neve. Sul tesserino, acquistato in quel caso in cartoleria, avevo vergato in grandi caratteri neri la scritta “Jettatore”… ed eccoci tornare a Pirandello.

Un letterario saluto.

Stan

Il carnevale perduto

Mia cara Berenice,

si avvicina la domenica di settuagesima e, quindi, l’inizio del carnevale. Lo festeggiate, a Vienna? Fatico a immaginarlo e immaginarvi.

Nelle Venezie i festeggiamenti, circoscritti per lo più a sfilate di carri allegorici, tendono a essere piuttosto sottotono, con l’ovvia eccezione di Venezia stessa, dove il celebre carnevale attira una folla tale da indurmi, ai tempi del Governatorato, a barricarmi in ufficio. Ho ancora in mente l’immagine, emblematica, di una ragazza straniera con una gigantesca gonna a campana, incastrata a metà di una calle.

A Roma, la situazione è analoga a quella della Terraferma veneta. Si festeggia, certo, soprattutto a beneficio dei bambini, ma il carnevale non è – mi pare – un evento di particolare richiamo o aggregazione, un elemento identitario.

Eppure, fino al XIX secolo, il carnevale più famoso in Italia e forse al mondo non era affatto quello di Venezia, ma quello di Roma, pittoresco sfondo di alcuni capitoli de “Il conte di Montecristo” di Dumas Padre, ma ritratto da tanti altri illustri visitatori.

Il sito dedicato al turismo dal Comune di Roma lo ribadisce, facendo risalire il carnevale romano addirittura al XII secolo, a meno di non considerarlo addirittura il successore dei Saturnali dell’Antica Roma.

Tuttavia, ecco nel XV secolo ricomparire la Serenissima con un Papa veneziano, Paolo II, la cui firma compare in calce a una Bolla che introduce le forsennate corse lungo la grande arteria ancora oggi denominata via del Corso, quella da me percorsa ogni mattina per andare in ufficio; l’iniziativa pontificia ebbe notevole fortuna e le grandi famiglie aristocratiche si sfidavano facendo gareggiare i loro migliori cavalli berberi.

Il Martedì Grasso si concludeva con la Festa dei Moccoletti, durante la quale si scendeva in strada mascherati con una candela (moccolo), proteggendo spasmodicamente la propria fiammella e cercando di estinguere quella altrui. Il carnevale romano aveva naturalmente le sue maschere, personaggi leggendari come Rugantino e Meo Patacca.

Non dovrebbe stupirti che una simile manifestazione si svolgesse sui sagrati di Santa Madre Chiesa, né che sia stato il severo Governo sabaudo a vietarla. La stessa fine, del resto, fece fare la virtuosa Francia rivoluzionaria al carnevale di Venezia, riesumato dai comitati cittadini solo negli anni ’70. Bizzarro che, con il gran parlare di rilancio di Roma, non si lanci un’iniziativa analoga nella capitale… per la verità, non è il turismo che manca… la pandemia, facendo i debiti scongiuri, sembra davvero alle spalle e la stagione natalizia è stata affollatissima.

Un fischio con la lingua di Menelik.

Stan