Grandi imprese pontificie

Mia cara Berenice,

ai giorni nostri il Pontefice, dismessi sedia gestatoria e triregno, tende ad assecondare i gusti del tempo presentandosi in modo informale, compatibilmente con il suo alto ufficio.

Tipico esponente di questo stile comunicativo è il Pontefice regnante che si è stabilito nella Residenza di Santa Marta, anziché nei Sacri Appartamenti o Sacre Stanze.

Secoli fa, i Pontefici avevano un aspetto meno pacioso, anche perché il potere temporale imponeva loro responsabilità politiche e militari, cui di solito assolvevano mediante la corrispondenza diplomatica e gli intrighi, muovendosi su una scacchiera in cui incrociavano Imperatori, Re, Repubbliche, Signorie e capitani di ventura.

Papa San Leone Magno affrontò personalmente Attila, scongiurandone la calata su Roma – probabilmente con l’ausilio di altri fattori favorevoli, certamente della fortuna. Altri Pontefici, più modestamente, sono sfuggiti ai saccheggi o alla stessa popolazione romana inferocita. Papa Giovanni Paolo II, come tutti ricordano, è sopravvissuto a una pallottola.

Nessuno, però, ha mai corso i rischi dell’attuale Pontefice Francesco che ha osato riprendere aspramente una donna rea di avergli chiesto una benedizione per il suo cane, per giunta vantandosi dell’intemerata agli Stati Generali della Natalità. La furia indignata degli animalisti fa più paura di Attila, oltretutto sprovvisto di Internet.

Un filiale e preoccupato saluto.

Stan

Barker and Commander

Mia cara Berenice,

ero nel parco a leggere, quando sono stato distolto dalle mie pagine da una voce maschile che gridava, insistentemente quanto incomprensibilmente: “Terra! Terra!”

Alzati gli occhi, il novello Cristoforo Colombo è risultato essere uomo in pantaloni mimetici. Egli ripeté più e più volte “Terra” a un cane, finché quest’ultimo – probabilmente di sua spontanea volontà, più che in obbedienza al comando – si fu accucciato a terra, guadagnandosi le lodi del padrone. In quel modo, spiegò l’uomo alla donna che lo accompagnava, si era sicuri che non sarebbe finito sotto a un’auto, se avesse visto un gatto dall’altra parte della strada.

Io ne ero molto meno convinto e considerai la scena da un altro punto di vista. L’uomo sul ponte di comando di un veliero, il cane vestito da marinaio aggrappato con le zampe alle sartie, in un mare gonfio e tempestoso. Come in un terrificante film della Disney ambientato nei Mari del Sud di secoli fa, in cui il cane di un pirata fa naufragio su un’isoletta e viene raccolto da un bambino timido e insicuro, intimorito dal suo stesso lignaggio nobile che lo fa discendere da capi, guerrieri ed eroi locali.

Forte della sua esperienza marinaresca, il cane lo incoraggia a prendere parte all’annuale gara di pagaia sulle tipiche imbarcazioni tradizionali, fino a condurlo alla vittoria contro lo spocchioso figlio del Governatore francese, di cui conquista anche la sorella. Il titolo potrebbe essere “Barker and Commander”, in italiano “Cooke il cane pirata”.

Nel sequel, ambientato negli anni ’60 con l’arcipelago che comincia ad aprirsi al mondo e al turismo, due discendenti del cane e del ragazzo conducono le isole all’indipendenza dalla Francia e alla prosperità economica, grazie al giacimento di guano alimentato da uno stormo di simpatici uccelli che cantano a cappella.

Dopo la mediocre performance del primo film, il sequel è un flop annunciato, nonostante gli eroici tentativi degli esperti di marketing della Disney che, prendendo a pretesto alcuni incidenti sul set, si inventano un boicottaggio delle riprese da parte del Governo francese.

“In parte fu una nostra personale vendetta per l’affondamento del Rainbow Warrior,” confesserà in seguito uno dei produttori in una deposizione giurata. “In parte, pensavamo davvero che l’antipatia per i francesi fosse sufficiente a far vendere il sequel”.

Su questa bufala costruita ad arte, Netflix costruirà una breve serie di otto episodi, “The Revanche”. Altro flop.

Uno sconsolato saluto.

Stan