Apologia della candidatura di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica Italiana

Mia cara,

non ti offendere, ma tu e le tue amiche siete monocordi. Passate un quarto del vostro tempo a scandalizzarvi per le violazioni dei diritti umani, un quarto a inorridire per quanto avviene in Italia, un quarto a giocare alla pallacorda e il residuo quarto ai vernissage.

Oggi, alla roulette della vostra indignazione è uscita la candidatura dell’ex Cavaliere, ex Presidente del Consiglio, ex parlamentare ed ex europarlamentare Silvio Berlusconi.

Bene, è una candidatura che i partiti di destra sostengono tiepidamente (halfheartedly, direbbero gli anglosassoni) e che ha scarse possibilità di vittoria, come dimostra il fatto stesso del suo annuncio Urbi et Orbi: chi entra nel conclave delle elezioni presidenziali da Papa, si sa, ne esce da Cardinale.

Io, sappilo, tifo per lui.

Lo ho sempre avuto in simpatia, anche quando non lo votavo per malinteso senso civico.

Dopo anni di austerità, severità, protestantesimo, autoflagellazione, egli mi sembra una boccata di aria fresca. Se schiererà ballerine di can can in uniforme da guardia d’onore, tanto meglio. Se poi le predette corazziere marceranno, invitte e imperiose, fino a Vienna, sarà la più grande e monumentale operazione militare dai tempi della battaglia di Austerlitz o dell’operazione Bagration.

Un saluto gioiosamente cantato.

Stan

Berlusconi al San Raffaele

Mia cara Berenice,

quando Silvio Berlusconi venne praticamente cacciato da Palazzo Chigi, praticamente commissariato dall’Unione Europea, praticamente espulso dal Senato, io esultai, come allora era di prammatica.

Oggi, la mia percezione è radicalmente mutata.

Giudizi umani non voglio darne né su Berlusconi né su nessun altro, per i giudizi storici è presto, per quelli politici ho perso interesse. Qui, come sempre, si danno giudizi estetici, come nella celeberrima scena del cineforum aziendale de “Il secondo tragico Fantozzi” di Luciano Salce (Italia, 1976).

Quella berlusconiana era l’Italia degli anni ’80, un’Italia gaudente e ottimista, apparentemente proiettata al futuro, in realtà ancorata al passato del boom economico degli anni ’60 e a una certa reazione patriarcale e cattolica che aveva, tuttavia, almeno il pregio di risparmiarci il politicamente corretto.

Il tutto fuori tempo massimo? Certo.

Tanto da farci rischiare la bancarotta sovrana, mentre Berlusconi parlava di ristoranti pieni e voli esauriti? Assolutamente.

Eppure, non mi riesce di non essere grato a Berlusconi per aver trascinato avanti lo spettacolo per qualche atto ancora. Esattamente come, al termine di “Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson (USA-Germania, 2014), la voce narrante ringrazia Monsieur Gustave perché “il suo mondo era svanito prima che vi entrasse, ma lui ne sostenne l’illusione con grazia magistrale”.

Ecco, quel mondo già svanito vede scolpita la sua lapide oggi, con la notizia che Berlusconi, contagiato dal virus insieme ai figli e alla giovane fidanzata, è stato ricoverato al San Raffaele di Milano.

Era stato dichiarato asintomatico, asintomatico non era. A stilare i referti medici era stato il primario di terapia intensiva del San Raffaele, quel Professor Alberto Zangrillo che, tempo fa, aveva definito il virus clinicamente morto e su cui si allungano pesanti ombre, con la risalita dei contagi in Italia e in Europa e il sospetto di aver tentato di coprire l’infezione di un altro discusso personaggio, Flavio Briatore.

Insomma, sembra che una mano ferrea e adunca voglia stritolare, strangolare ogni afflato di ottimismo.

Ottimismo malriposto? Probabilmente.

Giustizia, dunque? Sì, ma anche tanta tristezza. Come quando il giudice anglosassone, nel consegnare il condannato al boia, ne raccomanda almeno l’anima a Dio.

Un malinconico saluto.

Stan