Bianco Natal

Mia cara Berenice,

oggi il cielo è grigio, letteralmente grigio.

Ho sempre sospettato di essere vagamente meteoropatico – come tutti, per citare Sciascia -, ma oggi, stranamente, non avevo voglia di uscire e camminare.

L’ho fatto comunque e ora sono al parco, tra abbondanti foliage e cinofilia. Tra poco mi alzerò dalla panchina e proseguirò verso il laghetto giapponese: sotto questo cielo, un haiku è di prammatica.

Sembra che nei prossimi giorni finalmente pioverà e abbondantemente. Dopo mesi di siccità, le gocce di pioggia luccicano come le palline dell’albero di Natale alla vista dei bimbi, una promessa di indefinita meraviglia.

Poi, al terzo giorno di maltempo, sarà come scartare i regali e cominceremo a lamentarci: della pioggia, di quanto poco Roma la regga, etc.

Com’era quella canzone di Natale che cantate voi?

La pioggia salvifica dei raccolti sarà come un elaborato, pomposo, ingessato e ostentato veglione di capodanno: fastidioso, ma segno tangibile che abbiamo tirato avanti ancora un po’.

Salverà il radicchio di Treviso, lungo lucente ed eburneo, impennacchiato di rosso, dolce a crudo, sulla griglia o al forno, gratinato o avvolto nella toga pretesta della pancetta.

Dolcezza.

Stan

Contrasti

Mia cara Berenice,

ieri, festa di Ognissanti, stando alle previsioni meteorologiche, doveva essere l’ultimo giorno di questa lunga e anomala estate – non che oggi sia così diverso, in realtà.

Ho deciso perciò di trascorrere la giornata a Villa Pamphili, equipaggiato di borraccia, telo e soprattutto una monumentale edizione di “Annientare” di Michel Houellebecq.

Il sole era caldo e il parco affollatissimo, ma la terra fredda e umida sotto l’erba. Mi ha ricordato la casa della mia infanzia, a F. Sul lato che dava verso la vallata e lo stradone, era stata ricavata una terrazza di cemento, asfalto e pietrisco che andava ad archiviarsi sotto i rami di un enorme salice piangente. Sotto quella terrazza era celata la cantina. Così io, seduto bocconi, sentivo con i palmi le pietruzze scaldate dal sole e pensavo alla cantina sotto, regno nanesco di mio padre.

Sole caldo, dicevo, ma dal precoce tramonto, foriero di un’escursione termica brusca come lo schiaffo dato con un asciugamano.

Oggi, in ufficio, il chiaroscuro ruota di novanta gradi, passa da verticale a orizzontale. Il mio ufficio, esposto al sole, è così caldo che devo lasciare la finestra aperta tutto il giorno; in quello sul versante opposto del corridoio, il Direttore Generale lavora con il giaccone addosso sulla sedia ergonomica.

In tutto il Dipartimento, noi funzionari di ruolo pestiamo allegramente sulle nostre tastiere, beatamente indifferenti al cambio di Governo in corso – oggi hanno prestato giuramento i Sottosegretari di Stato. Nonostante la nostra inamovibilità, o forse proprio per questa, sobbalziamo a ogni stormir di foglia, raccogliamo voci improbabili di trasferimenti in blocco alle Scuderie del Quirinale, sorvegliamo con cortese sollecitudine i due colleghi improvvisamente comparsi a fare l’inventario delle stanze, ci lanciamo in esegesi complicate per circoscrivere le deleghe di questo o quel Ministro senza portafoglio.

La sera, scendiamo dal biancore pneumatico dei nostri uffici per farci sballottare dalle luci, la calca, le mille lingue, le bandierine colorate delle guide turistiche, i serpenti d’acciaio e lo strombazzare di Roma.

Dopo cena, alcuni di noi si lamenteranno della morte dei quartieri dormitorio, altri del caos e del chiacchiericcio dei locali notturni sotto casa.

Un ingordo saluto.

Stan

Autunno-inverno

Mia cara Berenice,

dopo giorni passati a maledire il sole che batteva sui filari, oggi l’autunno è decisamente arrivato: forse addirittura inverno, se si giudica con i parametri romani.

Una violentissima, tragica inondazione ha colpito le Marche, dieci persone avvolte in un sudario d’acqua. Sul Veneziano si è abbattuta una forte grandinata.

Al netto delle polemiche sul dissesto idrogeologico e sulle lacune del sistema di allerta meteo, per molti è il cambiamento climatico che bussa alla porta. Secondo gli esperti, le Marche sono state vittima di un cosiddetto “temporale autorigenerante”, orrida macchina di von Neumann nata, come una Venere deforme, dalle acque marine surriscaldate.

Eppure, non riesco a evitare un irrazionale senso di rassicurazione nel constatare che l’autunno esiste ancora e non dorme, che se l’estate protervamente non lascia libera la casa per le vacanze, il dimesso proprietario, lasciati decorrere cinque giorni lavorativi, invia avvocato, ufficiale giudiziario e carabinieri, facendo proiettare sul selciato la viziata ragazzetta con le ciabatte ancora ai piedi. Senza tanti complimenti, l’appuntato le deposita innanzi i costumi, i copricostume, gli abitini, le paillette, il faretto e il treppiede per i selfie ammiccanti in camera da letto, lo shaker per i cocktail che tanto non sa usare, l’armamentario per il trucco e la parrucca rosa shocking.

Insomma, la ruota delle stagioni, per il momento, gira ancora.

Un sollevato saluto.

Stan

La sera del dì di fine estate

Mia cara Berenice,

oggi come ieri, i doveri di traduttore mi hanno trattenuto quasi totalmente in casa. Solo nel tardo pomeriggio ho finalmente firmato e inviato un corposo manuale sugli ordinativi di lenti a contatto mediante sistema Oracle.

Uscito finalmente per sgranchire le gambe, la frescura mi ha colto di sorpresa. Nuvole orlate di rosa acceso galleggiavano nel cielo calmo. I tavolini dei ristoranti erano affollati di avventori che di solito si rifugiavano all’interno, al riparo dell’aria condizionata, come coloro che esercitavano il diritto d’asilo concesso dalle cattedrali.

Nel suo memorabile “Quartieri alti”, Ercole Patti descrive incomparabilmente meglio di me la magia dell’autunno, quell’aria frizzante di calze al polpaccio e nuovi proponimenti. Nemmeno lui, evidentemente, amava troppo l’estate, peraltro meno infernale a quei tempi. In un altro racconto della medesima raccolta, non lesina ironia nel dipingere l’assalto del popolino alla spiaggia, delineando uno scenario che generalmente si fa risalire al dopoguerra. Patti, viceversa, tracciava un ritratto grottesco dell’Italia fascista, una satira così sottile da sembrare una filigrana.

Chissà dov’è finita, quella copia usata di “Quartieri alti” che avevo a F. Ancora la rimpiango.

Un nostalgico saluto.

Stan

I primi freddi

Mia cara Berenice,

nell’eterno Carnevale di Roma, tre parole corrono di bocca in bocca, di mascherina in mascherina, di ventaglio in ventaglio, e non sono “Viva il Re” o “Viva il Papa”, ma “Ha rinfrescato parecchio”, con buona pace delle ottobrate.

Avevo già abbandonato magliette e bermuda, rispolverando maglioncini leggeri, spolverini e, soprattutto, le mie innumerevoli tute, degne del guardaroba de “I Tanenbaum” di Wes Anderson (USA, 2001).

Ho smesso di lasciare sempre aperte le finestre, facendo circolare l’aria fra le fessure impolverate dei balconi.

Ho steso sul letto una trapunta.

Ho ripescato dal fondo della scarpiera le mie ciabatte da Babbo Natale.

Ho cenato nel silenzio ovattato dei doppi vetri chiusi, senza sentire il bisogno di accendere la TV, e anzi compiacendomene.

Dopo cena, anziché setacciare il digitale terrestre alla ricerca di qualche diamante grezzo, mi sono ritirato in camera da letto e ho guardato una serie su Netflix, come le ragazze con il plaid e la tisane, ma senza plaid e tisana, e però compiacendomi, come loro, del calore della casa e degli abiti.

Quale serie, chiederai tu. “Nine Perfect Strangers”. N. mi aveva avvertito che non è un granché, ma che ci posso fare, c’è Samara Weaving e anche Nicole Kidman è in ottima forma, la scelta tempestiva di rinunciare al botulino le ha giovano moltissimo e dovrebbe essere molto più ampiamente pubblicizzata.

Ommmmmmmm…

Stan

Spedita in ritardo

Mia cara Berenice,

agosto sta finendo e una pioggia scrosciante, improvvisa, si è abbattuta su Roma.

Stamattina, vedendo il cielo griglio e plumbeo, ho scrollato le spalle, ricordando di aver lasciato in ufficio al Ministero un ombrello, penzolante dalla spalliera di una sedia, perché non si sa mai: il cambiamento climatico è fatto di estati torride, ma anche di piogge monsoniche.

Non ho avuto bisogno di accendere l’aria condizionata; in compenso, l’umore della mia temuta regina era infernale. Ho risposto con diplomazia, una battuta sullo status del Trentino Alto Adige e la mia solita domanda di ferie settembrine.

È quasi settembre e tutto va bene. In “Quartieri alti” di Ercole Patti, uno dei racconti della raccolta è una magnifica ode all’autunno.

Un ungarettiano saluto.

Stan