Giganti informatici e diritto

Mia cara Berenice,

il Presidente americano, in attesa di dover abbandonare la Casa Bianca, è stato bandito a vita da Twitter. Si può impedire a un uccello di cinguettare? Viene in mente la canzone “Nata libera” di Leano Morelli: “È nascosta tra i rami ma la senti cantare / Se ti vede è finita e allora fuggirà / Lui non riesce a capire che non vuoi farle male / Lui capisce soltanto la sua libertà”.

Melodie a parte, c’è chi si chiede se una società informatica possa privare un uomo politico di uno strumento ormai fondamentale di campagna elettorale.

L’interrogativo è legittimo, ma non credo che l’importanza del problema vada sopravvalutata.

La giurisprudenza italiana ha già statuito che la sospensione o disattivazione di un profilo può essere oggetto di sindacato in sede giudiziale. Posto che nel giro di pochi giorni è possibile ottenere un provvedimento cautelare, direi che da Menlo Park o San Francisco non è ancora stato sferrato alcun attacco contro la democrazia.

Il problema potrebbe invece riemergere, e anzi ingigantirsi, se risultasse che le grandi aziende informatiche non rispettano i provvedimenti del potere giudiziario statale.

Ad esempio, nel 2016 la Apple si rifiutò, nonostante l’ingiunzione di un giudice federale, di sbloccare per l’FBI il cellulare appartenente a un uomo che aveva ucciso 14 persone a San Bernardino.

L’azienda addusse motivazioni che potrebbero anche essere ritenute ragionevoli. Essa spiegò che, per ottemperare all’ingiunzione, avrebbe dovuto creare un apposito programma di backdoor, potenzialmente utilizzabile su qualunque altro telefono.

Tuttavia, il programma in questione sarebbe stato consegnato all’FBI, non a un adolescente foruncoloso con il computer trasformato in colabrodo dai virus contratti scaricando film porno. In ogni caso, un provvedimento giudiziario è un provvedimento giudiziario: vi si ottempera, salvo eventualmente fare ricorso.

Un saluto a colpi di mazzuolo.

Stan