Luna di marzo

Mia cara Berenice,

non so come vadano le cose in Austria, ma qui in Italia la variabilità del tempo di marzo è proverbiale.

Ieri faceva un caldo tale che in ufficio sono dovuto restare in maniche di camicia.

Stamattina era coperto, tirava vento e spilli di pioggia ti pungevano il viso, relegando l’ombrello a un’inutilità che non lo contraddistingueva dai tempi del Belgio. Ora, mentre ti scrivo, un sole dorato, dopo aver circonfuso le montagne, si sta allungando sul quartiere.

Io stesso ho avuto comportamenti imprevedibili, almeno per i miei parametri. Nel locale in cui pranzo quasi sempre il sabato e quando, come oggi, lavoro da remoto, i camerieri scherzano su quanto sono abitudinario. Oggi, subito dopo aver mandato giù il solito caffè al pistacchio, anziché tornarmene a casa o andare a passeggiare a Villa Pamphili, mi sono tuffato nel ventre del quartiere, tra le palazzine e i palazzi incastonati sull’erta, giù giù fino ai Quattro Venti di Pasolini, per poi risalire con il tram da Ponte Bianco.

Nel mondo anglosassone, a quanto mi consta, queste piccole alterazioni del comportamento si attribuiscono alla luna piena. “Keen Eddie” è una serie televisiva relativamente poco nota, su un poliziotto americano distaccato presso Scotland Yard. Il protagonista divide casa con una giovane inglese, una sfolgorante Sienna Miller. Il loro rapporto è turbolento, ma, in una puntata di luna piena, diventa improvvisamente e castamente affettuoso, ai limiti dello smielato.

La leggenda del lupo mannaro, del resto, è ben più antica dell’anglosfera, e prova a convincere mio padre o qualche altro contadino delle sue parti a compiere con la luna calante un’operazione per cui la saggezza popolare prescrive la luna crescente, o viceversa.

Un latteo saluto.

Stan

Agricoltura e mercato

Mia cara Berenice,

il Primo Ministro Narendra Modi, l’uomo forte dell’India, è stato costretto dalle proteste dei contadini a ritirare il pacchetto di leggi che componevano la sua ambiziosa riforma agraria, finalizzata a liberalizzare un settore fortemente regolamentato e sussidiato.

Bizzarramente, il tentativo di Modi non è nemmeno stato accennato in contesti talvolta associati al liberismo, come Unione Europea e Stati Uniti.

Nell’UE, la Politica Agricola Comune (PAC) vale quasi 60 miliardi l’anno, contro i poco più di 100 del bilancio generale delle Istituzioni.

Negli Stati Uniti, il Ministero dell’Agricoltura federale spende 450 miliardi l’anno. Una cifra non stellare in un bilancio federale misurato in triliardi, ma che comunque ne fa uno dei Ministeri più ricchi, preceduto solo da Tesoro, Salute, Difesa, Servizi Sociali, Lavoro e Istruzione, surclassando nettamente Trasporti, Edilizia, Sicurezza Interna, Esteri, Energia, Commercio e Giustizia, nonché la NASA e l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente.

Agricoltura allergica al mercato, dunque? Verrebbe da dare senza esitazione una risposta affermativa, ricordando storie come quelle della United Fruit in America Latina o quelle, più recenti, sull’accaparramento di terre (land grabbing).

Eppure, ci sono storie anche diverse.

Quella dei contadini sovietici, strenui difensori della piccola proprietà e imprenditoria, fino a costringere Lenin a varare la Nuova Politica Economica e Stalin una delle sue più bestiali campagne di repressione.

Quella dei braccianti italiani che ottennero, nel secondo dopoguerra, la distribuzione delle terre.

Quella dei contadini vietnamiti che, secondo molti, non sarebbero passati armi e bagagli al Viet Cong, se avessero strappato al Governo di Saigon una riforma agraria decente e una redistribuzione del latifondo privato ed ecclesiastico, prosperato all’ombra dell’Amministrazione coloniale francese.

Il rapporto sullo stato dell’alimentazione e dell’agricoltura adottato dalla FAO nel 2020 è tutto incentrato sulla crisi idrica e, pur riaffermando l’ovvia importanza delle politiche pubbliche, non sembra invocare misure statali invasive. Un altro rapporto settoriale del 2012, lungi dalla scacciare gli investitori stranieri come mercanti dal tempio, li incoraggia a coinvolgere nelle loro filiere gli agricoltori locali.

Che dire, poi, delle antichissime fiere agricole o dell’assiduità dei contadini, anche dopo la pensione, ai mercati locali?

Un sacchetto frusciante di uova? Fresche fresche.

Stan

Agosto, meteo mio non ti conosco

Mia cara Berenice,

non so se le ferie agostane di massa siano una prassi criticabile, certo non sono una prassi allineata al meteo. La scienza, infatti, ci dice che il mese più caldo dell’anno è luglio, che tesaurizza le lunghe giornate di giugno, già percettibilmente accorciate invece in agosto. Soprattutto è noto come, almeno nel Nord Italia, in agosto il tempo cominci già a guastarsi, con violenti temporali estivi.

“La prima pioggia d’agosto rinfresca il bosco,” sentenziava con soddisfazione mio padre, preoccupato per la siccità.

Da tempo, però, non gli sento declamare questo proverbio, perché il problema principale dei produttori di vino non è costituito più dalla siccità, ma dai fortunali violenti e soprattutto dalle grandinate, iniziate quest’anno già a fine luglio, con chicchi così grossi da mandare in pezzi le tegole dei tetti.

Leggo, per esempio, in un recentissimo comunicato stampa del Governatorato dell’Emilia Romagna: “Avviata sia la verifica per l’eventuale richiesta dello stato di emergenza nazionale sia la conta dei danni a seguito dell’ondata di maltempo e grandine che ieri ha colpito l’Emilia Romagna in diverse Province, in particolare il Parmense e il Reggiano. Già ieri l’Agenzia di Protezione Civile dell’Emilia Romagna aveva attivato le procedure per fare una ricognizione dei danni subiti dai beni immobili pubblici e privati. In corso il dialogo col Governo e il Dipartimento della Protezione Civile per appurare se ci siano gli estremi per richiedere lo stato d’emergenza nazionale, anche in raccordo con i Governatorati confinanti colpiti dallo stesso evento”.

La grandine, si sa, colpisce a macchia di leopardo, così che quasi sempre il piccolo vigneto paterno ne esce indenne.

Un anno, però, non è stato così, e il patriarca è stato intrattabile per ben due mesi, prima che una mesta vendemmia rimuovesse dai tralci le misere spoglie di guerra. Verrebbe da citare Quasimodo se, di questi tempi, i paragoni osceni tra misure sanitarie e Seconda Guerra Mondiale non abbondassero già fin troppo: come la gramigna che nemmeno la grandine riesce a estirpare.

Un contadinesco saluto.

Stan