When Johnny comes marching

Mia cara Berenice,

marzo è mese di ferali ricorrenze.

Non mi riferisco alla Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera, che ha indotto le Autorità a interdire inopinatamente al traffico Piazza Venezia in un affollatissimo venerdì mattina lavorativo.

Il 16 marzo 2014 si è tenuto, nella Crimea occupata dalla Russia, il referendum che ne ha sancito l’annessione da parte di Mosca. Già allora ricordo che quella parola, “annessione”, mi parve gravida di funesti presagi. Rivelava un Cremlino non solo poco ligio al diritto internazionale (quasi tutti i Governi lo sono), ma soprattutto proiettato nel passato. Da quanto tempo non veniva proclamata un’annessione forzosa? La Turchia, nella parte occupata di Cipro, ha preferito installare un Governo fantoccio. Perfino il Terzo Reich e l’Impero napoleonico utilizzavano le incorporazioni territoriali con moderazione, preferendo spesso gli Stati vassalli. L’annessione, insomma, è una misura estrema, indicativa di estremismo o di colonialismo.

All’alba del 20 marzo 2003, invece, iniziava l’invasione angloamericana dell’Iraq, che mi vide sin da principio contrarissimo. Innanzitutto, Washington e Londra si stavano rendendo ridicole, la prima con la teoria delle armi di distruzione di massa, la seconda con bizantini cavilli giuridici, finalizzati a ripristinare l’autorizzazione all’uso della forza armata concessa dal Consiglio di Sicurezza in occasione della Guerra del Golfo. Inoltre, era evidente che si rischiava di consegnare il Paese all’Iran e al jihad. Per dire che si può essere favorevoli al sostegno all’Ucraina senza essere filoamericani fanatici.

Compatta fu anche l’opposizione dell’Europa continentale, con una posizione molto ferma della Germania e la Francia che usò i suoi storici agganci in Africa per impedire la formazione, in senso al Consiglio di Sicurezza, della cosiddetta “maggioranza morale” teorizzata dagli anglosassoni, ossia nove voti favorevoli su quindici, al netto del veto francese. Dall’altra parte dell’Atlantico, se la presero parecchio. Il New York Post schiaffò in prima pagina la foto di un cimitero militare americano in Normandia, con il titolo: “Sono morti per la Francia, ma la Francia ha dimenticato”. Ci fu perfino un pittoresco quanto effimero tentativo di ribattezzare “freedom fries” le patatine fritte (French fries). Per dire che l’Europa, nonostante la mancata reale integrazione in materia di politica estera e di difesa, non è serva degli Stati Uniti e della NATO come la si dipinge.

Get ready for the Jubilee, Hurrah, hurrah!

Stan

In questa valle di lacrime

Mia cara Berenice,

ieri ho visitato la Catacombe di San Sebastiano, sull’Appia, una vera città sotterranea con slarghi e piazze.

Mentre la guida della Santa Sede, con l’ausilio di immagini a parete, ci spiegava gli sforzi estremi compiuti per decenni dai primi cristiani per proteggere le reliquie, se stessi e la possibilità di accedere ai Sacramenti, in quelle viscere ho avuto la sensazione di trovarmi nel ventre stesso della cristianità, una cristianità reietta, clandestina, perseguitata.

Dove possiamo trovare oggi un cattolicesimo ancora in salute? In Cina, dove il Governo si ostina a praticare una anacronistica persecuzione. Dove, in qualche modo, regge ancora? Nella Polonia di Giovanni Paolo II, dove ha ricevuto il soccorso rosso dell’ateismo di Stato. Dove il declino sembra irreversibile? Nell’Europa della piena libertà di culto, nonostante il presidio della Santa Sede e i Concordati.

“Mi scusi,” ha chiesto uno dei visitatori, “ma quanto è veramente forte il legame tra i neocatecumenali e i riti, i simboli dei primi cristiani?”

“Secondo la mia esperienza,” ha risposto dopo una breve esitazione la giovane guida, “non molto”.

Non praevalebunt?

Stan

Pirandello

Mia cara Berenice,

come già ho avuto più volte occasione di scriverti, non è raro nell’Urbe imbattersi in set cinematografici… talmente poco raro che, a volte, l’incontro è esso stesso cinematografico.

Ieri sera tornavo dall’ufficio con la mia anonima bardatura di pubblico funzionario, quando, nella piazza antistante uno storico Liceo del centro, mi si sono sono fatti incontro Cardinali, generali e gentiluomini carichi di decorazioni, giovani aristocratiche, dame del gran mondo ingioiellate. Uscivano dall’androne di un palazzo e si dirigevano verso un gazebo dove veniva distribuita loro pizza bianca e porchetta. Davvero su quel tratto di marciapiede, come nell’opera di Pirandello, ciascuno indossava una maschera.

Io stesso, l’ultima volta che sono salito nelle Venezie, poche settimane fa, sono stato informato che mio cugino aveva organizzato una sontuosa festa in maschera sullo zoccolo di terra di famiglia sui colli.

“Verrei volentieri,” ho risposto al suo invito, “ma vedo che è obbligatorio per gli invitati presentarsi in maschera. Il mio bagaglio è leggero, dovrai accontentarti di un costume da funzionario. Del resto, qui al Nord, è assolutamente esotico”.

Ottenuto il benestare, ho indossato la giacca e, al collo, il tesserino dell’Ufficio del Primo Ministro, con tanto di logo della Repubblica. I tempi cambiano anche nel Settentrione e non ero così solo a rappresentare lo Stato: alla luminosa festa inghirlandata, sotto le file di lampadine degradanti dall’albero del bar a forma di galeone piratesco, mi sono imbattuto in agenti di Polizia Municipale in uniforme.

Un completo molto simile, più scuro, l’avevo indossato molti anni prima, a una festa di capodanno sulla neve. Sul tesserino, acquistato in quel caso in cartoleria, avevo vergato in grandi caratteri neri la scritta “Jettatore”… ed eccoci tornare a Pirandello.

Un letterario saluto.

Stan

Luna di marzo

Mia cara Berenice,

non so come vadano le cose in Austria, ma qui in Italia la variabilità del tempo di marzo è proverbiale.

Ieri faceva un caldo tale che in ufficio sono dovuto restare in maniche di camicia.

Stamattina era coperto, tirava vento e spilli di pioggia ti pungevano il viso, relegando l’ombrello a un’inutilità che non lo contraddistingueva dai tempi del Belgio. Ora, mentre ti scrivo, un sole dorato, dopo aver circonfuso le montagne, si sta allungando sul quartiere.

Io stesso ho avuto comportamenti imprevedibili, almeno per i miei parametri. Nel locale in cui pranzo quasi sempre il sabato e quando, come oggi, lavoro da remoto, i camerieri scherzano su quanto sono abitudinario. Oggi, subito dopo aver mandato giù il solito caffè al pistacchio, anziché tornarmene a casa o andare a passeggiare a Villa Pamphili, mi sono tuffato nel ventre del quartiere, tra le palazzine e i palazzi incastonati sull’erta, giù giù fino ai Quattro Venti di Pasolini, per poi risalire con il tram da Ponte Bianco.

Nel mondo anglosassone, a quanto mi consta, queste piccole alterazioni del comportamento si attribuiscono alla luna piena. “Keen Eddie” è una serie televisiva relativamente poco nota, su un poliziotto americano distaccato presso Scotland Yard. Il protagonista divide casa con una giovane inglese, una sfolgorante Sienna Miller. Il loro rapporto è turbolento, ma, in una puntata di luna piena, diventa improvvisamente e castamente affettuoso, ai limiti dello smielato.

La leggenda del lupo mannaro, del resto, è ben più antica dell’anglosfera, e prova a convincere mio padre o qualche altro contadino delle sue parti a compiere con la luna calante un’operazione per cui la saggezza popolare prescrive la luna crescente, o viceversa.

Un latteo saluto.

Stan

Fiori di ciliegio

Mia cara Berenice,

secondo un’indagine compiuta dal gruppo assicurativo Axa, l’Italia sarebbe il peggior Paese in Europa per salute e benessere mentale.

Sfatato, dunque, il cliché della Dolce Vita, ancora tanto caro a Hollywood? Sì e no.

Io credo che l’Italia abbia ancora – per clima, paesaggio, gastronomia, relazioni interpersonali e lavorative – il potenziale per essere il paese da cartolina che molti immaginano o avvicinarcisi molto.

Semplicemente, questi fortissimi fattori positivi sono controbilanciati da altri fattori negativi.

Quali?

L’economia e i salari bassi, verrebbe da rispondere subito. Probabilmente. Io aggiungerei anche la scarsa valorizzazione delle professioni intellettuali, alla radice della famosa fuga dei cervelli.

Qualche altro indizio, tuttavia, può venire proprio dal rapporto Axa che, allargando lo sguardo all’orbe terracqueo, certifica esserci un solo altro Paese nelle nostre stesse condizioni: il Giappone.

Come mai il Giappone? Certo, se si vuole, è la patria del suicidio, ma l’economia – di cui si pronostica periodicamente il crollo – continua a reggere, il tasso di criminalità è bassissimo, mastodontiche multinazionali tecnologiche assicurano lavoro qualificato, l’industria culturale non manca di certo.

In comune con l’Italia il Giappone ha solo due cose: il declino demografico e l’estremo conservatorismo. Ritengo sia questo secondo il fattore determinante. Le società chiuse e conservatrici tendono ad avere un cattivo rapporto con il mondo che, per sua natura, si evolve e rinnova. Più specificamente, il lavoro tende a essere poco produttivo, quindi intensivo e defatigante. A causa del permanere di pregiudizi, è maggiore la riluttanza a prendersi cura della propria salute mentale. Il disagio psicologico, a sua volta, esaurisce la mente, la irrigidisce, la rende irritabile come una pustola infiammata, generando nuovo e più radicale conservatorismo.

Un saluto gorgheggiato da un gruppo di idol.

Stan

Cinquanta avvocati a Calena

Mia cara Berenice,

ti ho da poco parlato dell’attualità di Brancati, ora devo intrattenerti su quella di Jovine. Ambientato in un Molise quasi feudale, “Le terre del Sacramento” narra l’epopea di paeselli sperduti e miseri, eppure pullulanti di avvocati, pretori, ufficiali giudiziari, magistrati, laureandi in legge.

Il libro sfata, almeno parzialmente, l’idea che abbiamo dell’Italia fino al secondo dopoguerra, di un Ancien Régime in cui gli studi erano aperti a pochissimi, ma a quei pochissimi garantivano ricchezza e prestigio. I figli del popolo dotati di ingegno, spesso, riuscivano a istruirsi, grazie a reti di protezione sociale informali o alla scorciatoia del seminario. Il risultato, tuttavia, non era l’elevazione sociale, ma un sottobosco di intellettuali e professionisti impoveriti, mentre ad appropriarsi dei latifondi di un’aristocrazia decadente e inetta sono fattori, intrallazzatori, usurai, speculatori.

Viene il dubbio che chi ha premuto per la democratizzazione dell’istruzione, negli anni ’60, ne abbia dipinto un quadro semplificatorio e irreale o, quantomeno, non abbia tenuto conto di un’economia arretrata nonostante il boom, poco idonea ad assorbire e valorizzare le risorse umane più qualificate. Un problema che, in buona parte, permane anche oggi, sotto il dominio delle piccole, medio e microimprese – onorevolissime, ma che dovrebbero essere affiancate dalle più classiche, hollywoodiane, fantozziane mega-ditte.

Con osservanza.

Stan

La Festa della Donna in Italia

Mia cara Berenice,

in Italia, l’8 marzo è un giorno lavorativo, ma la ricorrenza della Festa della Donna è comunque universalmente nota. Sulla stampa, sui media e a livello istituzionale si riflette sulla condizione femminile nel Paese. Il popolino regala alla sua componente femminile mimose, dolciumi o simili cotillon, sempre più spesso puramente virtuali e trasmessi via mail o app di messaggistica. Chi ha un senso dell’umorismo particolarmente sviluppato, fa gli auguri a qualche amico o collega maschio. Le pasticcerie e i bar espongono la torta mimosa, a base di pan di Spagna e crema diplomatica, il cui sfavillante colore giallo non sempre è così naturale come si crede.

Non so quanto sia realmente diffuso l’uso di festeggiare in serate di sole donne, magari ravvivate da spogliarellisti o altri spettacoli licenziosi.

Viceversa, è assolutamente certo che, ogni anno, viene indetto uno sciopero generale, la cui principale conseguenza pratica è una possibile interruzione dei servizi di trasporto pubblico, senza discriminazione tra utenza maschile e femminile.

Dall’apposito calendario redatto dalla Commissione di Garanzia, apprendo che lo sciopero è stato proclamato dall’ADL-COBAS, dove ADL sta per Associazione Diritti Lavoratori e COBAS per Comitati di Base. Sul sito istituzionale del sindacato non ho trovato le motivazioni dell’agitazione di quest’anno o dell’anno scorso, ma lo sciopero dell’8 marzo di due anni fa era stato proclamato per i diritti delle donne.

Stamane, il mio tram funzionava perfettamente, con diverse vetture in movimento su tutta la linea, simili a disciplinate e operose formiche operaie.

Un fischiettante saluto.

Stan

Amici ritrovati

Mia cara Berenice,

tornare a casa è rassicurante, ma non del tutto, soprattutto dopo un’assenza protratta. Appunto dopo una sequela di ritorni avventurosi a Roma, un mio amico ha scherzato che la mia abitazione usa farmi pagare gli abbandoni, come un cagnolo che sfoghi l’ansia da separazione in dispetti.

Ieri, come appunto ti scrissi, me n’ero andato lasciandomi alle spalle la casa senza acqua. Un articolo di giornale da un lato mi aveva rivelato trattarsi di manutenzione programmata, dall’altro, con i toni allarmistici tipici della stampa dei giorni nostri, invitava l’utenza a fare “grosse scorte”.

Per giunta, arrivato in ufficio, mi ero accorto di non avere al polso l’orologio che la famiglia mi aveva regalato per i quarant’anni? Me l’avevamo forse rubato sul tram? Per quanto i borsaioli abbiamo mano leggera e chirurgica, mi pareva impossibile. Non solo il tram era mezzo vuoto, non solo erano saliti i controllori, ma il polso era coperto dalla giacca e dal giaccone. Pure, era strano l’avessi semplicemente dimenticato a casa… come mai non l’avevo preso dal comodino, insieme al fazzoletto e al cellulare?

Tornato a casa, la sera, un colpetto al rubinetto della cucina mi ha notificato il ripristino del servizio idrico. Quanto all’orologio, mi faceva l’occhiolino, ironico e sensuale, dai cuscini del divano, dove riposava dalla sera precedente, in cui mi ero gettato lungo disteso, stanco dopo un fine settimana di escursioni.

Tutto è bene quel che finisce bene.

Stan

Brancati

Mia cara Berenice,

dopo averlo letto citare chissà quante volte da Leonardo Sciascia, finalmente mi è capitato tra le mani, a una bancarella di libri usati a un tiro di sasso da Palazzo Chigi: Vitaliano Brancati e il suo “Don Giovanni in Sicilia”, la storia di un giovane della buona borghesia di Catania trascinato dalla moglie nobile a Milano e ivi costretto ad acclimatarsi a clima e usanze nordici.

Edito nel 1941 da Rizzoli, il romanzo conserva un’attualità sconcertante. Dopo il gran parlare di smart working, nomadismo digitale e South working fatto durante la pandemia, il Mezzogiorno continua a riversare le sue migliori e più fresche residue energie al Nord, e di questo esito il capoluogo della Lombardia resta simbolo, oggi come allora.

Ma come, dirai tu, Brancati non è forse famoso per la sua approfondita disamina del rapporto tra uomo e donna, con particolare riferimento al gallismo siculo?

Io, per quanto mi sforzi, non riesco a non dare del romanzo una lettura geografica, come se fosse una mappa: ci vedo il rapporto tra Nord e Sud, tra Sicilia e Continente, tra cultura nordeuropea e mediterranea.

Tuttavia, non solo il titolo parla chiaro, ma è innegabile che l’opera dipinga un trittico pressoché completo della donna dal punto di vista maschile, classificata sbrigativamente in tre categorie semplificatorie: l’oggetto sessuale, l’angelo e la mater familias.

Una catalogazione simile viene esplicitata in “Syrup” (USA, 2013), un film ingiustamente sottovalutato e forse una delle migliori interpretazioni della povera Amber Heard.

In Brancati però, a ben vedere, l’operazione tassonomica assume una coloritura più cupa. La donna, pur cambiando volto, resta sempre e comunque una forza dominante e malevola. L’oggetto sessuale rimane confinato in torturanti, ossessive fantasie che non si concretizzano mai. L’angelo trasforma la vita dello spasimante in un limbo di sospiri, una non vita di fantasma. La mater familias manovra disinvoltamente il marito, rivoltandolo come un guanto, e si concede relazioni extraconiugali sotto il suo naso. Insomma, su tutte e tre le figure aleggia l’ombra noir della femme fatale.

Nell’economia della commedia, l’ossessione di cui sono schiavi i personaggi maschili assume toni esasperati, caricaturali… ma forse anche profetici, nell’epoca di OnlyFans.

Un gratuito saluto.

Stan

Gnoseologia

Mia cara Berenice,

stamane mi sono alzato, ho fatto le consuete abluzioni e solo allora, provvidenzialmente, dal rubinetto ha smesso di uscire acqua, in modo subitaneo, netto e preciso. Avevo fretta di avviarmi verso il lavoro, perciò ho avviato le mie indagini solo a bordo del tram. L’ultima volta in cui si era verificato un caso simile, la rottura di una condotta aveva allagato un’intera strada, circostanza riportata, con dovizia di documentazione fotografia, dai gruppi Facebook di quartiere. Stavolta nessuna notizia, ma non ero certo di aver effettuato una consultazione accurata, complice il fatto che questa rete sociale funziona sempre peggio, come già ti scrissi.

Da Google, viceversa, ho appreso quasi subito che si trattava di manutenzione programmata lungo l’asse della Circonvallazione Gianicolense. Evidentemente, non vige più la prassi di dare preavviso di simili interruzioni del servizio mediante l’affissione di cartelli cartacei lungo le vie.

Rassicurato, nel sollevare lo sguardo dal display ho potuto notare che il cielo minacciava pioggia. Per decidere se gettare in borsa un ombrello pieghevole, avevo dato una rapida occhiata dalla finestra e mi pareva volgesse al bello. Non è ancora detto, però, che io abbia avuto torto. Al momento non piove, le nubi sono in rapido movimento e le previsioni meteo mi danno ragione.

Sempre sul tram, una ragazza straniera si lamentava in inglese con la sua amica su quanto fossero gelidi i taxi italiani. Di primo acchito, tale affermazione suscitava una certa perplessità, perché indossava una canotta poco più pesante e coprente di un reggiseno sportivo. Tuttavia, non c’è necessariamente nesso tra le due cose, non si può escludere fosse vestita pesante, quando l’ignoto tassinaro l’ha afflitta con il suo microclima artico.

Un profondo saluto.

Stan