L’asparago

Mia cara Berenice,

ultimamente ho notato una tendenza a proporre nei menù, e soprattutto nei più ricercati, l’asparago, probabilmente per mostrare attenzione alla stagionalità. Il piatto servito stasera a un mio amico in un locale piuttosto chic del centro era emblematico di questa tendenza: uova, salmone, avocado e asparagi verdi. Magari ho scoperto la proverbiale acqua calda, ma sono un assiduo frequentatore di ristoranti e non ricordo questa comparsate dell’asparago nelle tarde primavere passate.

Durante la mia infanzia, esso era la verdura da mangiare per forza, benché fosse uno dei pochissimi alimenti che mi ripugnava: per il sapore, per il consistenza acquosa, per la sua capacità di appestare l’urina, perché accompagnato alle uova sode. Andava mangiato, ufficialmente, perché faceva bene. In realtà, se facesse bene nessuno lo sapeva davvero, anzi si mormorava – infondatamente, mi pare di capire – che danneggiasse i reni.

Il vero motivo per cui bisognava mangiarlo era quello di sempre, in Veneto: faceva parte della tradizione. Bianco o ancora di più verde, selvatico, “da rust”. Pur non amando nessuno dei due, già da bambino riconoscevo istintivamente una maggiore dignità all’asparago selvatico. Innanzitutto, per procurartelo dovevi battere la campagna nei suoi anfratti più umidi, non lo acquistavi in mazzetti pingui e ordinati tenuti insieme da fascette da banca centrale. Inoltre, era snello, nervoso, elastico, con un certo carattere nel gusto, tanto che perfino i forti palati campagnoli sentivano il bisogno di addomesticarlo con zucchero o bicarbonato. L’asparago bianco gonfio, florido, afflitto da cronica ritenzione idrica, di quell’artificioso color avorio, era la Karen delle verdure, un fastidio da sopportare per tenere a galla l’economia.

Il pranzo organizzato dagli alpini per la Festa della Liberazione, presenti il Sindaco e il Commissario di Pubblica Sicurezza, includeva un piatto di antipasti preparato dal titolare in pensione della storica rosticceria di quartiere; la portava comprendeva un crostino con una punta di asparago selvatico su salsa tonnata. Non era male, non era male affatto.

Un liberale saluto.

Stan

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