Mia cara Berenice,
certe vicende surreali che si stanno susseguendo al lavoro mi hanno quantomeno ispirato il racconto che ti allego alla presente.
Stan
IL CONTRATTO DI MATRIMONIO
Il tremulo pudore della contessina di Gras nello stendersi sul talamo nuziale era, a dire il vero, in larga parte artefatto: ella aveva avuto le più ampie esperienze. Eppure, il suo imbarazzo fu reale, quando suo padre il conte fece letteralmente irruzione nella camera.
“Papà?” Esclamò, interdetta, mettendosi a sedere contro la massiccia testiera di legno con tale brusca foga da sbattere la testa e coprendosi con le lenzuola.
Alle spalle del conte sopraggiungeva a occhi sgranati la servitù, incredula, costernata e tremebonda.
Il marito, in effetti ancora vestito quasi di tutto punto, era in piedi accanto al letto, immobile e ammutolito.
La contessina sgranò gli occhi e scosse i riccioli che ancora conservavano l’ombra della sofisticata impalcatura delle nozze.
“Ebbene?” Insistette. “È successa qualche disgrazia?”
“Torna nelle tue stanze da nubile!” Le ordinò il padre, in tono tra l’imperioso e il burocratico.
“Perché?” Protestò con un gridolino acuto la figlia.
“Fallo e basta”.
Il marito, che era pur sempre tenente di cavalleria pur non avendo mai visto una battaglia, si sentì finalmente in dovere di intervenire e fece un passo verso il conte.
“Signore,” proclamò dignitosamente, “questa è casa vostra e io sono un ospite. Tuttavia…”
“Mi dispiace!” Sbottò il conte, irritato. “Spero che la cosa si sistemi e rapidamente”.
“Ma quale cosa?”
“Si è fatto annunciare il Signor Vendrame, regio conservatore dei registri che, per riguardo nei miei confronti, ha avviato le operazioni di registrazione appena ricevuto il contratto di matrimonio dal prevosto”.
“Ebbene?”
“Ebbene, non può procedersi alla registrazione”.
La contessina cacciò un urlo. Il contratto di matrimonio era il frutto di interminabili negoziati tra suo padre e il suocero, Marchese d’Arville.
“Perché non si può registrare?” Chiese il tenente d’Arville, interdetto.
“Una particella catastale non risulta assegnata alla dote, né esclusa dalla dote”.
“Ma come è possibile?” Esplose la contessina. “Avete trattato per mesi, con il prevosto e il notaio a tenervi bordone!”
“Non lo so, non lo so che diavolo è successo!” Mulinò le mani nodose il conte. “Per ora, non c’è che fare: bisogna sospendere tutto”.
“Ebbene,” rispose la figlia, fra il duro e il sospiroso, “abbi la compiacenza di accompagnare fuori mio marito, mentre mi rivesto. Bernadette,” aggiunse, rivolta a una cameriera, “vieni ad aiutarmi!”
La giovane si precipitò nella stanza, mentre il conte tendeva il braccio destro al tenente, invitandolo dolcemente a seguirlo fuori.
“Mi dispiace, ragazzo,” lo consolò, non appena la cameriera ebbe sbarrato le porte, “non dev’essere simpatico essere interrotto così all’ultimo!”
“Non capisco cosa sia successo,” mormorò il tenente, muovendo le mani come se tenesse nella destra il guanto bianco dell’uniforme.
“Cose che capitano, purtroppo, quando bisogna fondere due tra i feudi più vasti e antichi di Francia… vediamola così: finché ci sono feudi da fondere, c’è speranza,” borbottò il conte e, sempre tenendo sottobraccio il genero, lo accompagnò paternamente lungo il corridoio.
“Pascal!” Ordinò al servitore che li precedeva col candelabro. “Prepara la camera degli ospiti”.
La fiammella delle candele galleggiava, come un fuoco fatuo, lungo il corridoio finestrato immerso nella campagna buia.