Il tavolo dei parenti della sposa

Mia cara Berenice,

il battesimo è andato bene.

Ignoravo che i neonati andassero unti col crisma, oltre che bagnati con l’acqua santa; c’è stato perfino un accenno di esorcismo.

Il fonte battesimale, risalente al ‘700, era di un certo pregio.

Sole splendente, servizio al ristorante rapido.

La frase sibillina pronunciata da un invitato mi ha ispirato il racconto che ti allego.

Esci da questo corpo!

Stan

IL TAVOLO DEI PARENTI DELLA SPOSA

Gli agenti della polizia segreta erano universalmente odiati, eppure il loro lavoro non era certo facile. Sorvegliare per giorni, mesi, anni presunti dissidenti partoriti, in modo più o meno casuale, dalla paranoia del governo. Utilizzare l’Intelligenza Artificiale per analizzare l’enorme mole di dati raccolti era impossibile, perché nessun computer avrebbe mai potuto capire il senso di passare al setaccio la vita reale e virtuale della signora Arstotzka, ex maestra in pensione, solo perché uno dei suoi nipoti, emigrato all’estero, aveva partecipato a una marcia contro il governo. Inoltre, gli algoritmi erano tutti di origine americana o cinese: impossibile fidarsi.

Così, il governo continuava ad assumere agenti e “collaboratori esterni”, a un ritmo che presto sarebbe diventato insostenibile per le magre casse dell’erario. Molti alti papaveri si stavano preparando un comodo esilio all’estero; i semplici agenti, in mancanza di meglio, insabbiavano le indagini a carico di qualche vero oppositore, sperando di poter incassare qualche credito in futuro.

Per il momento, tuttavia, la vita nel tetro palazzo del Ministero della Sicurezza continuava a seguire la sua alienante routine burocratica, con una riunione convocata dal colonnello Vonel in persona nella Sala Conferenze H. Lungo il tavolo disposto perpendicolarmente a quello dei relatori, alcune ausiliarie e dipendenti civili avevano perfino allestito un buffet piuttosto corposo: uno sfoggio di abbondanza raro e anomalo che, come tale, preoccupava non poco i convenuti.

“Che sarà successo?”

“Un nuovo Direttore, forse?”

“Così, senza preavviso?”

“Perché, quando mai c’è stato preavviso?”

“Sono cominciate le purghe…”

Il cicaleccio venne interrotto bruscamente dall’ingresso imperioso di Vonel e dei suoi collaboratori che andarono a disporsi ai microfoni, mentre tutti i presenti scattavano sull’attenti.

“Riposo!” Annunciò Vonel, sedendosi. “Care colleghe e cari colleghi, ho ritenuto opportuno farvi convenire qui, strappando tutti noi ai nostri pressanti impegni, perché ci viene richiesto uno sforzo straordinario: un’operazione speciale”.

Tutti trattennero il respiro. Nel criptico linguaggio della Repubblica Popolare, “speciale” era sempre sinonimo di “guai”. Le Commissioni Speciali e i Tribunali Speciali conducevano le purghe interne. L’ultima operazione speciale, svoltasi all’estero, era stata un fiasco imbarazzante, costato carissimo al generale Katsenj, Direttore del II Dipartimento.

Vonel estrasse dalla sua cartella una piccola busta color avorio che sollevò tra pollice e indice, a beneficio dell’uditorio.

“Nell’ultima settimana, l’Ufficio Censura Postale ha intercettato centinaia di queste. Carta organica, ruvida, color perla, di primissima qualità. Come vedete, nonostante il loro continuo vittimismo, i signori dell’opposizione se la passano benissimo. Ogni busta contiene un foglietto di pari pregio, stampigliato in caratteri dorati a rilievo. Si tratta degli inviti alle nozze dell’illustre signor Caullinski”.

Un mormorio simile a un brivido percorse la sala. Poeta, drammaturgo, cattedratico degradato a impiegato postale, Premio Nobel per la Letteratura pochi anni prima, Caullinski era il più celebre dissidente del paese. Trattarlo come merita, ossia rinchiuderlo in una cella o conficcargli una pallottola nel cranio, avrebbe creato imbarazzi sgraditi al Ministero degli Esteri e al Ministero del Commercio Estero, per cui ci si era limitati a privarlo della cattedra, allontanarlo dalla capitale, impedirgli di recarsi alla cerimonia della consegna del premio a Stoccolma e sottoporlo alla più assillante e vessatoria sorveglianza di polizia.

“La fortunata,” proseguì Vonel, impassibile ma ben conscio dell’effetto delle sue parole, “è tale signora Escalli, prima ballerina dell’Opera di Stato. Forse qualcuno di voi la conosce, in ogni caso la conoscerete tutti presto. Una ragazza che avrebbe potuto sposare un membro del Comitato Centrale: che spreco. Ora, non spetta a noi decidere se queste nozze debbano avere luogo o no e con quali conseguenze. Nostro compito è fornire a coloro cui spetta la decisione tutti gli elementi necessari. Sono stato chiaro?”

Dall’uditorio si levò un corale “Signorsì!”

“Bene,” annuì Vonel. “Ora passo la parola al capitano Saratov per i dettagli operativi”.

Le nozze Caullinski determinarono, in pratica, una riorganizzazione dell’intero III Dipartimento. Gli Uffici vennero divisi trasversalmente in gruppi di lavoro, a ciascuno dei quali venne affidata una lista di invitati. Poi, quando pervenne al Ministero il tableau con la disposizione dei tavoli, prontamente affisso in sala conferenze, i gruppi di lavoro vennero rimescolati. Ciascuno consegnò, a tempo di record, il proprio rapporto alla squadra di Vonel che collazionò il tutto e, su tale base, raccomandò di interdire le celebrazione delle nozze. Il Comitato Centrale reagì al ponderoso incartamento con un silenzio di tomba e, quando ormai Vonel temeva seriamente di finire alle miniere di mercurio, il Ministro in persona lo ringraziò del suo lavoro indefesso e gli notificò che, purtroppo, motivi giuridici e politici ostavano all’interdizione del matrimonio. Si contava su Vonel, ovviamente, per una rigorosa sorveglianza dell’evento. Il colonnello non se lo fece ripetere e infiltrò le nozze in modo così massiccio che la maggior parte dei camerieri e cuochi erano suoi agenti e tutti gli altri, magistrato celebrante compreso, “collaboratori esterni”. Una fittissima cortina di ferro impedì che qualunque straniero assistesse alla cerimonia o ai festeggiamenti o che qualunque materiale sui medesimi filtrasse oltreconfine. Il quotidiano ufficiale del Partito pubblicò in terza pagina un trafiletto in cui annunciava, felicitandosene, le nozze dell'”illustre concittadino”.

Ora, Vonel doveva solo sigillare senza errori il fascicolo con un rapporto finale impeccabile per uscire indenne dall’impresa e forse guadagnarsi pure i galloni di generale e l’Ordine dell’Aquila Nera di II Classe. Lesse e rilesse scrupolosamente la bozza finale, dedicandovi i giorni e le notti. Dopo tre giorni senza riposo, convocò d’urgenza nel suo ufficio il sottotenente Volta, giovane ufficiale fresco d’accademia preposto al tavolo dei parenti della sposa.

“Sottotenente,” esordì Vonel, “il suo rapporto è piuttosto sintetico. Vi si sostiene che le persone sottoposte alla sua sorveglianza hanno parlato prevalentemente della mietitura e della siccità nel Distretto di Nirsk; sono seguiti alcuni aneddoti di caccia”.

“Signorsì!” Confermò Volta, sudando freddo.

“Tuttavia, ho svolto un controllo sulle trascrizioni e risulta che il signor…” Vonel rilesse il nome. “Wens, esattamente alle ore 16.31 e quindi durante…”

“Il sorbetto”.

“Il sorbetto, esatto, dichiarava, aperte virgolette, peccato che qui non ci sia lui, chiuse virgolette”.

“Uhm… è possibile, signore”.

“Non è possibile, è certo; è verbalizzato”.

“Certo, signore”.

“E non ha ritenuto opportuno approfondire questa frase?”

“Non credo parlasse del Comandante, signore,” disse Volta, riferendosi al dittatore fascista che aveva retto le sorti del Paese fino al 1949.

“Forse no,” concesse Vonel, “il punto è proprio questo: non lo sappiamo”.

Fu così che l’ultraottantenne signor Wens, bracciante agricolo in pensione, fu interrogato brutalmente dal Comando di Nirsk. Se gli avessero posto le domande con più calma, probabilmente avrebbe ricordato subito di aver pronunciato quella frase riferendosi al defunto padre della sposa, prematuramente stritolato da una mietitrebbia quasi trent’anni prima.

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