Mia cara Berenice,
sono sul treno per Venezia. Poco dopo la partenza, ero caduto in un sonno pesante come il piombo, eppure mi sono destato, con tempismo perfetto, alla prima distribuzione di bibite e stuzzichini da parte delle hostess. Ora mi sento di nuovo intorpidito mentre il convoglio arranca verso la stazione di Firenze, proprio mentre, per strano caso, sto leggendo “Cronache di poveri amanti” di Vasco Pratolini.
Del resto, il Festival della Canzone Italiana, attualmente in corso e trasmesso ogni sera dalla TV di Stato, sta mutando i rapporti della Nazione intera con il Sonno.
Per prassi consolidata, ogni serata del Festival finisce tardissimo, spesso oltre l’una di notte. Ecco allora, sui divani di tutta Italia, mummie raggrinzite fissare i televisori con occhi sbarrati, in attesa della liberatoria proclamazione della classifica provvisoria. Padri di famiglia attesi l’indomani alla catena di montaggio alle otto in punto, che solitamente russano di traverso sul divano appena ingurgitata la cena, combattono la loro guerra eroica contro Morfeo, a costo di rischiare di decapitarsi con la pressa il giorno dopo. Rigidi come cadaveri, illuminati dalla luce da obitorio del teleschermo.
A infierire ci si mettono i costumisti della TV di Stato, sadicamente dediti a ricoprire di lustrini non solo gli abiti lunghi di conduttrici e ospiti, ma anche e soprattutto le giacche da sera dei conduttori, in un baluginio ipnotico mortale come il sibilo del serpente.
Dormi, dormi, dormi, dormi.
Stan