Mia cara Berenice,
periodicamente – l’ho visto accadere di recente su LinkedIn – si riaccende il dibattito sull’utilità e attualità del Liceo Classico, un indirizzo di scuola superiore di impronta storico-umanistica, contraddistinto dallo studio del latino e del greco antico.
In realtà, quel Liceo in buona parte non esiste più. Con l’entrata a regime dell’autonomia scolastica, molte scuole superiori hanno depennato dai loro programmi il greco antico o anche il latino. Già ai miei tempi, terminato il biennio iniziale (Ginnasio), le materie scientifiche prendevano il sopravvento.
Il latino e il greco antico io li apprezzai molto, perché il tradurli consentiva di distinguere gli studenti brillanti dagli sgobboni e dagli adepti della mnemotecnica. In effetti, però, lo stesso risultato si sarebbe forse potuto ottenere con l’inglese.
La vera risposta a questa domanda me l’ha data il gran parlare di declino dell’Occidente che usa di questi tempi. Chi è uscito da un Liceo Classico non se ne fa impressionare troppo, perché ricorda gli ininterrotti lai degli autori romani, perfino in epoca repubblicana, sulla decadenza dell’Urbe, definita già da Sallustio “mature peritura”.
Oggi, l’Occidente dato ormai per morto sta rispondendo meglio del previsto all’aggressione russa in Ucraina, l’ex Armata Rossa arranca, sulla Cina si addensano nuvole minacciose e l’ascesa di Brasile, Sudafrica, India tarda a manifestarsi.
L’ex alunno del classico, che non si è affrettato a imparare il mandarino, vive più serenamente anche sul luogo di lavoro, nei cui corridoi non mancano mai di soffiare profezie apocalittiche di sventura che allineano l’inettitudine di vertici, dirigenti e colleghi in direzione di una lapide di marmo nero su cui sono scolpiti il fallimento e il licenziamento collettivo nel settore privato, l’arresto e il giudizio contabile nel settore pubblico.
Ave atque vale.
Stan