Mia cara Berenice,
un moderno zerbinotto direbbe che Roma ha un distretto culturale diffuso. Incastonati nel vetusto tessuto urbano, edifici bianchi, lucenti, squadrati, tappezzati di vetrate, dall’illuminazione neutra, fredda, intensa, ecologica. Perfino a Trastevere, nella marea mugghiante della movida e della paccottiglia, il bisturi della ristrutturazione ha ripulito e ricavato questi mozziconi d’osso.
Uno, appunto a Trastevere, ospita un cinema, due caffè, un’aula studio, un’area espositiva e una sala conferenze. Quest’ultima sorge al primo piano, tra due vetrate che danno sulla strada e sul bar, illuminate – in deroga alle regole ordinarie – da fumosi fasci di luci colorate.
Ieri sera vi si teneva, a cura di un simposio privato ma col beneplacito del Governatorato, un recital in onore di un grande poeta turco, esiliato dal Governo della Madrepatria per le sue idee marxiste.
Il pubblico sedeva su sedie bianche o su divanetti scuri. Dal fondo, un tecnico del suono carezzava i microfoni dei due lettori che si alternavano nel declamare versi, lettere, aneddoti e cenni biografici.
Si era ormai alla fine dell’evento e della breve vita del poeta, stroncato dai postumi delle torture e dello sciopero della fame nelle carceri turche, quando dalla strada si è levato un grido altissimo, acuto, strozzato. Da quale gola fosse eruttato o perché, non si è mai saputo.
Un saluto.
Stan
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