Mia cara Berenice,
da quanto siamo divisi, ormai? La pandemia, per noi, non è mai finita. Quando tornasti a Vienna per patrocinare la nostra comune causa, presentivo che non ti avrei più vista, ma mai avrei immaginato la necessità di comunicare tramite corrieri clandestini, come due amanti dei secoli passati. Ho un bel ripetermi quanto sia romantico e vintage, sempre più spesso mi trovo a maledire i funzionari italo-austro-ungarici chini sulle nostre chat come avvoltoi. Per quanto mi riguarda, spero abbiano piazzato anche dei microfoni ambientali in casa, in modo da poterli disgustare con i sordidi passatempi degli uomini soli.
Ieri sera, per esempio, in TV davano “La La Land” (USA, 2016) e l’ultimo “Charlie’s Angels” (USA, 2019).
Dare un giudizio men che entusiastico su “La La Land” è praticamente un reato politico, c’è addirittura uno sketch del Saturday Night Live del 2017 che ironizza su questo aspetto, mostrando uno spettatore trascinato al distretto di polizia e interrogato brutalmente per aver osato fare una blanda critica alla pellicola. Nel Codice Penale Militare di Guerra delle regole sociali, non rivedere “La La Land” e guardare invece “Charlie’s Angels” è addirittura un crimine di Stato, alto tradimento, se non un crimen juris gentium, un malum in se, che rende il reo hostis generis humani e homo sacer.
Bene, a me “La La Land” non è piaciuto e ieri sera non solo ho solo guardato “Charlie’s Angels”, ma l’ho fatto con grande soddisfazione e, almeno in parte, per ragioni pruriginose: la scena iniziale di bondage con Kristen Stewart e il modo in cui il film maltratta Sir Patrick Stewart.
Del resto, è innegabile che il “Charlie’s Angels” di Elizabeth Banks sia “Quarto potere”, rispetto ai due film con Cameron Diaz, Drew Barrymore e Lucy Liu del 2000 e del 2003, famigerati per gli ammiccamenti, ben presenti del resto anche nella serie televisiva degli anni ’70, pur considerata un simbolo di empowerment femminile. Del resto, raccoglieva in un certo senso il testimone della meno famosa omologa britannica “Agente speciale” degli anni ’60. “Agente speciale” racconta la storia di una coppia di agenti segreti britannici e attira l’attenzione del pubblico nella seconda stagione, quando uno dei due protagonisti diventa di sesso femminile. Il successo diventa irrefrenabile quando Honor Blackman viene sostituita da Diana Rigg. Nasce così il personaggio di Emma Peel, la bellezza sottolineata dalla moda anni ’60, la pericolosità dalle coreografiche mosse di karate.
“Signora Peel, c’è bisogno di noi!”
Stan