Mia cara Berenice,
il 2023 è arrivato con i suoi missili russi e l’ennesima ondata di coronavirus dalla Cina, in una circolarità da giorno della marmotta o da cestello della lavatrice.
Sballottato in un mare di liquido amniotico, un muggire di branco di capodogli mi mantiene galleggiante in un dormiveglia stuporoso.
Lo stomaco ancorato a terra, la terra molle di cuscini di divano, un sapore dolciastro impastato nella bocca, il crepitio tentatore del camino, un cielo livido e bagnato fuori.
Domattina presto, lo sciabordio dei binari del treno a cullarmi fino a Roma, nei tepori morbidi della casa e dell’ufficio postdomani.
Una ninna nanna viscerale mugolata dal ventre profondo dell’Italia, ancorata al fondo millenario del Mediterraneo, immota, immersa nelle acque tiepide come quelle fanciulle di paese descritte dal Guareschi: scrutato l’alveo del fiume che le ha cresciute, di punto in bianco e senza una parola o un pensiero, marciano a lunghe falcate femminee sulle acque, conquistandole e a esse arrendendosi.
Un languido saluto.
Stan