Mia cara Berenice,
ieri sera ho chiamato mio padre per prendere accordi per oggi e mi ha pregato di portare qualche carciofo acquistato al mercato locale.
Ho dei dubbi sull’impossibilità di trovarne di altrettanto buoni nei mercati veneti, ma devo ammettere che qui il carciofo è una religione. Alle bancarelle, sapevo che avrei trovato feroci artigiani malesi intenti a sbozzare i fondi a sciabolate di coltello, per poi strizzare sul prezioso bocciolo di rosa qualche goccia di limone fresco.
Anche in tavola, il carciofo ha dignità di antipasto, servito alla romana o alla giudia, sbocciato alla rugiada dell’olio di frittura. Quando porto al ristorante qualche veneto di passaggio nella capitale, quasi sempre si recita lo stesso copione.
“Un carciofo per cominciare?”
“Carciofo? No, no…”
“Signora, se lasci servi'”.
“Signora, lo prenda, dia retta a me”.
Un dieci minuti dopo.
“Che buono ‘sto carciofo!”
“E gliel’avevo detto, signora”.
Ti ricordi quella volta che ti infilai una foglia di carciofo fritto all’orecchio? Me la tirasti addosso, ma ne valse la pena.
Stan