Mia cara,
lo sai che praticamente non seguo il calcio. Nemmeno in famiglia, del resto, se ne danno molto pensiero. All’epoca leggendaria di José Mourinho, ho frequentato per qualche tempo l’Inter Club di V., che aveva sede in una saletta del principale caffè cittadino, sulla piazza del municipio.
Questo, però, non conta. Il Triplete non fu un evento sportivo, ma filosofico ed esistenziale sconfinante nella fisica quantistica, un’enunciazione ante litteram del teorema di Bane secondo cui non può esservi disperazione senza la speranza, una cometa passata sul mondo lovecraftiano del tifo interista.
Il Mondiale in corso, del resto, è facilissimo da ignorare, poiché l’Italia non vi partecipa e comunque, come già ti scrissi, il Qatar non c’entra con il calcio quanto… quanto me.
Nonostante tutto ciò, un collega mi ha chiesto se volessi partecipare alla puntata collettiva dell’ufficio e ho risposto affermativamente. Fino a quel momento si era scommesso su Brasile, Argentina e Serbia: quale squadra volevo aggiungere? Ho eletto a mio campione il Marocco, sulla base di sensazioni epidermiche derivanti dalla lettura dei giornali e da qualche frequentazione marocchina.
Ieri pomeriggio è arrivata la notizia che il Marocco aveva eliminato il Portogallo, diventando la prima squadra africana ad arrivare in semifinale. Sentendomi improvvisamente un esperto di calcio, ho preso la decisione improvvisa di guardare Inghilterra-Francia. Dopotutto, non è mica una partita di calcio, è una rievocazione della Guerra dei Cent’anni. Per puro caso, avevo acquistato della carne da fare alla griglia, rendendo l’atmosfera ancora più mascolina.
Un rutto.
Stan