Mia cara Berenice,
l’interminabile e convoluta cerimonia nella Città Proibita si è conclusa, l’Imperatore della Cina, Signore dei Diecimila Anni, è stato intronizzato, ha ricevuto gli omaggi della Corte e dei Governatori e le congratulazioni – invero freddine – del Corpo Diplomatico.
Gli oracoli, però, sono inquieti, le fiamme delle candele tremolano. Al passaggio del corteo imperiale, un ponte si sarebbe tinto di sangue.
L’inelegante e plateale allontanamento del Principe Padre durante la cerimonia ha spezzato il rito e dato scandalo tra cortigiani e eunuchi.
Dagli appartamenti privati trapela la notizia che l’Imperatore sarebbe così terrorizzato e ossessionato dai germi da rifiutarsi di sfiorare mogli e concubine.
A Shanghai e Hong Kong, nelle corporazioni dei mercanti serpeggia la paura, tra le balle di merce e le pergamene impilate. Da lì non si vede armonia tra l’Imperatore e il Cielo, si teme la fuga degli spiriti propizi di prosperità e ricchezza evocati dall’ultimo Grande Imperatore.
I Capi delle Armate, immoti e inquadrati nella piazza d’armi, le lance e i pennacchi al vento, rileggono mentalmente i dispacci pervenuti dagli osservatori militari nelle pianure d’Ucraina. Dello Zar, unico mediatore accettabile tra Occidente e Oriente, hanno copiato non solo le armi, ma anche l’organizzazione e la dottrina. Ora, nelle case dalle lanterne rosse loro riservate, le esili cortigiane gridano e piangono, timorose che il Sovrano spedisca i loro protettori all’assalto delle spiagge di Formosa, protette dal mare e dagli abitanti posseduti dai demoni occidentali.
Un saluto di cartapesta.
Stan