L’ombelico

Mia cara Berenice,

come ricorderai, ho l’abitudine di prendere il tram (fino a primavera, la navetta sostitutiva) sempre al capolinea di Piazza Venezia, in modo da trovarlo meno pieno, sedermi e leggere.

Ieri sera, alzando gli occhi dagli ultimi capitoli di Scurati, mi sono trovato davanti, anziché il solito anziano reclamante il posto con sguardo imperioso, l’ombelico di una ragazza, netto e perfettamente intonato al caldo ottobre di Roma.

Anziché derivare verso pensieri lascivi, ho ricordato una scena della mattina. Camminavo sotto i portici, sistemandomi il tesserino identificativo al collo, quando ho visto due ragazze giovanissime con l’ombelico scoperto affaccendarsi per allestire un banchetto espositivo.

Immaginai fossero quelle che in gergo si chiamano dialogatrici, postulatrici di offerte per questa o quella ONG. Pare che questi dialogatori siano tutti collaboratori a provvigione della stessa società di Milano, ingaggiata indifferentemente da questa o quella ONG.

L’indiscrezione, proveniente da fonte attendibile, è confermata ai miei occhi dal fatto che usano tutti le stesse tecniche di aggancio, vagamente seduttive – ecco l’ombelico. In Veneto, una dialogatrice mi tastò il bicipite nel parcheggio di un supermercato, chiedendomi con sprezzo del ridicolo se facessi palestra. Qui a Roma, un’altra si scattò un selfie con me e mi scrisse il suo numero di cellulare all’interno di un cuore.

Però queste non erano dialogatrici. Erano testimoni di Geova.

Se la seduzione è anche spiazzare, mi hanno sedotto.

Quindi, un sedotto saluto.

Stan

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