Sull’inesistenza dei mezzi pubblici di trasporto ai tempi di Aristotele

Mia cara Berenice,

stamane, due fattori hanno contribuito a rendere infernale il mio viaggio da casa all’ufficio.

Innanzitutto, come già ti avevo accennato, il servizio del tram è stato sospeso fino a primavera per rifacimento dei binari. In sostituzione sono state predisposte delle navette frequentissime sì, ma meno capienti e costrette, in alcun tratti, a immettersi nel traffico.

Inoltre, avendo un convegno da moderare nel tardo pomeriggio, avevo cercato di arrivare prima, sovrapponendomi al grosso dell’utenza, anche scolastica.

Quando sei in un mezzo pubblico stipato, la presenza stessa degli altri passeggeri diventa offesa. Si giunge a sindacare il bagaglio, la stazza, perfino la statura del compagno di sventure. Ci si becca, come i capponi del Manzoni. D’altronde, se la colonna sonora deve dare il tono al film, tutto intorno un mare di automobilisti e motociclisti strombazza e spruzza insulti.

Nel definire l’uomo un essere sociale, Aristotele di certo non conosceva la metropoli moderna.

Oh, è una battuta, niente di più. Non credo che la polis e la città antica in generale fossero meno fastidiose, con le deiezioni gettate disinvoltamente in strada.

Inoltre, Aristotele aveva ragione: l’uomo è sociale. Solo che è contemporaneamente antisociale. Queste due anime contrapposte trovano una plastica sintesi nella brama di potere. Nella società, l’uomo preferisce stare ai vertici della piramide, indifferente alla solitudine morale che questo provoca.

La tendenza antisociale, inoltre, può esprimersi più schiettamente nei confronti di gruppi estranei al proprio.

Infine, può prevalere completamente, innescando all’interno del gruppo sociale di appartenenza tendenze centrifughe e autodistruttive. L’accanita guerra fratricida tra le polis greche ne è testimone.

Un saluto.

Stan

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