Mia cara Berenice,
il matrimonio è andato bene, la sposa era un giunco infinito che fioriva fino al cielo.
Su richiesta dei nubendi, il parroco del Duomo aveva delegato un altro celebrante il quale, venendo da fuori, non è sfuggito al traffico che assediava la località balneare in uno degli ultimi fine settima di presumibile fruibilità.
Finalmente è spuntato sul sagrato, imponente nella sua tonaca, scusandosi per lo “scherzo da prete”. Volendo mantenere e anzi rafforzare quella gradevole atmosfera vintage, ho plaudito con un sonoro “Questa era buona, reverendo!”
Durante la celebrazione, di questo sacerdote vecchio stampo mi ha colpito l’eloquio solenne e ieratico e da lì, nell’abbraccio delle calde navate del Duomo, la mente è tornata all’infanzia, quando la dimestichezza con la Chiesa era ben maggiore e i resoconti di matrimoni, battesimi e funerali prendevano le mosse dal celebrante. “Il prete aveva un andazzo… il prete è stato commovente… il prete l’ha buttata in politica… il prete non ha fatto le litanie dei santi, chissà perché… il prete ha fatto leggere ai nipoti…”
Un’abitudine censoria paradossale, rottura della gerarchia e dissacrazione, ma al tempo stesso affezione e vicinanza: non si giudica né si soppesa quel che non interessa. Non a caso è nel Mondo Piccolo di Giovanni Guareschi, ridotta del cattolicesimo tradizionale, che troviamo i “commissari politici”, fedeli assidui appostati ai primi banchi per sottoporre a scrutinio minuto la liturgia e la condotta del celebrante, fino ad arrivare ai reclami e segnalazioni all’Autorità ecclesiastica.
Un occhiuto saluto.
Stan