L’ospite o guest star

Mia cara Berenice,

ieri sera, sulla Tiberina, davano il concerto-spettacolo di Alessandro Haber, un attore piuttosto noto in Italia.

Alle mie spalle c’erano due francesi che ciangottavano, fornendo alla scena a seguire la colonna sonora ideale, da Maggio Francese.

Davanti a me, infatti, si è seduta una coppia di giovanissimi ragazzi con due ampi camicioni. Lui aveva i capelli ondulati fino alle spalle, lei lisci e lunghissimi, e l’entusiasmo di una bambina. Nell’insieme, sembravano strappati dagli anni ’60, vittime dell’incantesimo temporale di qualche manufatto etrusco.

Per quanto Haber sapesse il suo mestiere, era difficile non farsi distrarre, soprattutto dalle spalle di lei, che ondulavano dolcemente al ritmo delle canzoni.

Così, nella mia mente, d’un tratto, i fari su Haber si sono spenti e se n’è acceso uno, mobile, a illuminare un punto oltre la file di sedili dalla parte opposta alla nostra, sotto i muraglioni dell’ospedale, file tutte improvvisamente vuote. Della gran massa di pubblico erano rimasti solo i due ragazzi, io stesso ero un osservatore invisibile: una mosca nella stanza, come direbbero gli anglosassoni.

Il fascio di luce segue una figura che si avvicina, lenta, autorevole, flemmatica. Accorciata sufficientemente la distanza, vediamo che si tratta del Gian Maria Volonté di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (Italia, 1970), in severo completo da dirigente di P.S., colletto rigido e cravatta, scrupolosamente glabro, senza una goccia di sudore nonostante l’afa ostinata.

Raggiunge i due ragazzi e si china su di loro con un sogghigno: “Bravi! Venite qui a vedere Haber che fa il suo monologo sulle elezioni e la destra, legge qualche brano di Bukowski, strimpella qualche canzonetta. Poi uscite, magari vi fate un cocktail qui fuori, tornate a casa, o in albergo, o addirittura in qualche convitto di suore, a scopare come i conigli. Niente bombe, niente occupazioni abusive, niente manifestazioni, niente bastoni, niente fumogeni, niente di niente. Dico davvero, senza ironia. Bravi”.

Raddrizzatosi, si allontana con passo elastico; i tacchi delle sue scarpe in pelle, nuove e brutali, risuonano come nacchere sulla pietra consumata e polverosa. Il faro si spegne, egli scompare nell’oscurità degli alberi del lungofiume, accentuata da quella luce che avevamo puntata negli occhi.

Le file di sedie tornano a riempirsi con un refolo d’aria, i fari sul palco si riaccendono, Haber chiama sul palco Violante Placido.

Un applauso.

Stan

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