La psicologa del lavoro

Mia cara Berenice,

questo racconto mette insieme vecchie reminiscenze di quando, da studente, lavoravo all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e la solita inimicizia tra me e la balneazione.

Un pruriginoso saluto.

Stan

LA PSICOLOGA DEL LAVORO

La direzione aveva deciso, a ragione o a torto, che la pandemia era finita. Il lavoro agile non era stato interamente abolito, si era piuttosto mantenuta e affinata la modalità ibrida introdotta dopo la prima campagna vaccinale. Ad esempio, i membri dei team erano stati invitati a lavorare in presenza negli stessi giorni della settimana, in modo da “massimizzare il team building”. La novità fu bene accolta. In fondo, significava la fine del sistema di turnazione, complicatissimo e che costringeva qualcuno a lavorare il lunedì o il venerdì. Certo, dal martedì al giovedì la stanza era di nuovo piena e non era mai stata propriamente comoda, per quattro persone e la giungla di piante di Valeria.

Per il momento, tuttavia, era il cameratismo a prevalere. Antonio entrò succhiando il cucchiaino del caffè.

“Buoni questi nuovi cucchiaini biodegradabili! Viene voglia di mangiarli!”

“Tu mangeresti anche le pietre. Sarebbe ora che ti mettessi a dieta”.

“A proposito, avete visto il pancino della nuova assunta? Piatto come una tavola”.

“Direi addirittura concavo”.

“Bella gnocca”.

“Io non ho capito che diavolo faccia”.

“Celeste dice che ieri ha fatto il giro degli uffici per presentarsi. Probabilmente oggi verrà anche da noi”.

“Bene. Sono curiosa di vedere questa gran bellezza”.

“Troppo buoni, troppo buoni!” Celiò una voce alle spalle di Antonio.

I presenti in stanza trasalirono, vedendo comparire la nuova arrivata che, dopotutto, dipendeva direttamente dal Direttore delle Risorse Umane.

“Ti chiediamo scusa,” sorrise diplomaticamente Marta, durante il giro di presentazioni. “Gli uffici sono fabbriche di pettegolezzi e poi… gli uomini li conosci”.

“Oh, man mano che mi vedono bene gli passerà l’entusiasmo,” si schermì modestamente Benedetta, la neoassunta.

“Non credo proprio,” commentò a bassa voce Valeria, facendo scorrere lo sguardo su quella cascata di capelli biondi e quel corpo flessuoso.

“Dunque, tu di cosa ti occuperai?” Intervenne Mauro.

“Sono psicologa del lavoro,” spiegò sibillina Benedetta, senza aggiungere altro.

Lo disse in tono così ultimativo che nessuno ebbe il coraggio di chiedere altro. Quando se ne andò, i commenti si concentrarono sul suo aspetto.

Qualche giorno dopo, le Risorse Umane diramarono una mail a firma di Benedetta in cui si annunciava che, “prima della pausa estiva”, l’azienda aveva organizzato una “giornata di team building in spiaggia”.

“In spiaggia?”

“Be’, se è in spiaggia…”

“Aveva fretta di farsi vedere in bikini…”

“Che ci farà fare? Beach volley?”

“Beach volley sarebbe carino”.

“Figurati, ci farà fare quelle cacate tipo che devi chiudere gli occhi e lasciarti cadere all’indietro?”

“E poi? Cadi sulla sabbia?”

“No, quello in coppia con te, che sta dietro di te, ti prende al volo e così ‘si crea un legame di fiducia’”.

“Ossignore…!”

“Io do fiducia a Benedetta”.

“Tu sei fuori controllo, arrapato come un quattordicenne… occhio a non farti licenziare”.

“Mezz’oretta con me in cabina e mi farà promuovere team leader”.

“Seh, boom!”

Quel venerdì, le Risorse Umane prenotarono uno stabilimento a B., un quaranta chilometri fuori città. I dipendenti ricevettero istruzioni per il concentramento nel parcheggio aziendale, dove trovarono dei pulmini a noleggio. La stagione balneare non era ancora nel vivo e non trovarono traffico eccessivo, il tempo era buono: insomma, tutto sembrava ben disposto.

A ogni stanza era stato assegnato un ombrellone, ma, prima che la gente si sistemasse troppo comodamente, Benedetta passò tra le sdraio e fece in modo di rimescolare i vari team. A quel punto, diede il via ad Amministratore Delegato, Direttore Operativo e Direttore delle Risorse Umane, che tennero tre imbarazzati e ingessati discorsi in filodiffusione.

Constatato che c’era molto da lavorare, Benedetta ricominciò la sua accanita ispezione. Verso mezzogiorno trovò Antonio disteso bocconi sul telo, il volto pingue così profondamente confitto nella sabbia da chiedersi come facesse a respirare.

Mentre Valeria, che era rimasta assegnata al suo ombrellone, rimirava la scena fumando una sigaretta dalla sedia a sdraio, Benedetta si portò di fronte alla nuca di Antonio e si chinò su di lui. Gli sta letteralmente puntando le tette in faccia, pensò Valeria.

“Antonio?” Chiamò Benedetta, con voce fin troppo dolce e carezzevole.

Antonio, che normalmente aveva il sonno di un paracarro, si svegliò di colpo e sollevò gli occhi sgranati. Gli colava la bava dalla bocca per il sonno scomposto, si rese istantaneamente conto che la cosa poteva essere fraintesa e si fece prendere dal panico, agitandosi e girando in cerchio come un grosso Terranova.

“Scu… scusa Benedetta… ho paura di… essermi assopito un attimo”.

“Non scusarti, Antonio, siamo qui per rilassarci. Ti ho svegliato perché ho notato una cosa”.

“C-cosa?”

“Sei piuttosto pallido… non prendi il sole spesso, giusto?”

“Sì… sai… ho le lentiggini… infatti ho dovuto mettere la crema cinquanta”.

“Hai fatto benissimo. Salute e sicurezza innanzitutto. Anzi, avresti dovuto segnalarmelo. Ma temo ti sia sfuggito un punto tra le scapole, qui”.

Benedetta posò il dito sottile e affusolato in un punto particolarmente sensibile della schiena di Antonio, che sussultò, anche perché effettivamente l’unghia curatissima della psicologa aveva grattato un alone rossastro di scottatura.

“Sì… sì… probabilmente… non ci sono arrivato”.

“E perché non hai chiesto a nessuno di spalmarti la crema sulla schiena”.

Antonio lasciò cadere la mascella, senza proferire verbo.

“La collaborazione e il gioco di squadra sono fondamentali, Antonio!” Concluse Benedetta, con un sorriso luminoso, prima di andarsene come era venuta.

Antonio rimase a fissare il vuoto, con la bocca aperta.

“Ti piaceva tanto?” Lo stuzzicò Valeria, espirando una boccata di fumo. “Ora te la tieni”.

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