Lo Stretto di Formosa

Mia cara Berenice,

mentre i nostri occhi sono puntati sulle steppe e i campi di grano dell’Ucraina, sullo Stretto di Formosa comincia a prendere forma, a delinearsi nella nebbia di guerra quella che potrebbe essere la futura battaglia per Taiwan.

Niente sbarco cinese in grande stile che rischierebbe di trasformarsi in un carnaio. Piuttosto un blocco aeronavale incruento, giuridicamente nebuloso e favorito dalla geografia. Certo, le incertezze restano molte. Fin dove sarebbero disposti a spingersi gli Stati Uniti per rompere il blocco? E quanto a lungo potrebbe resistere l’opulenta, organizzatissima, ipertecnologica Taiwan?

Due giorni fa, il New York Times ha dedicato all’argomento un articolo di David E. Sanger e Amy Qin, dando voce a numerosi esperti. Il quadro tratteggiato è piuttosto chiaro. La Cina, a seguito del notevole rafforzamento dell’Esercito Popolare di Liberazione degli ultimi decenni, ha già le capacità militari per sottoporre Taiwan a un blocco totale; viceversa, è molto dubbio che protrarre a lungo un simile assedio sia economicamente sostenibile.

In ultima analisi, e come in tutte le guerre e i conflitti, sarà l’economia ad assegnare la palma del vincitore. Sotto questo profilo, al momento né l’Occidente né il Dragone sono in piena salute. Sulle prospettive a lungo termine di uno scontro, ovviamente, è difficilissimo fare previsioni; sono però possibili, almeno, alcune considerazioni.

  1. Alla radice dell’appoggio piuttosto tiepido della Cina alla Russia nella crisi ucraina, la maggior parte degli osservatori vede proprio la riluttanza di Pechino a subire ulteriori sanzioni economiche, oltre a quelle daziarie applicate dall’Amministrazione Trump e confermate da quella attuale.
  2. Secondo la banca dati OEC, la Cina assorbe il 9,1 per cento delle esportazioni americane, gli Stati Uniti il 16,5 delle esportazioni cinesi; se agli Stati Uniti aggiungiamo alcuni dei loro maggiori alleati, come Giappone, Corea del Sud, Canada, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Italia, Polonia, Spagna e Australia, la percentuale schizza al 43,52 per cento. Certo, i beni a basso costo cinesi sono preziosi per le economie avanzate, ma si possono produrre in molti altri Paesi in via di sviluppo.
  3. L’abilità confuciana del regime autoritario e statalista cinese di gestire con efficienza l’economia sembra mostrare la corda, con lo smantellamento dell’autonomia di Hong Kong, la politica COVID zero, la campagna contro miliardari e grandi imprese, gli scricchiolii sul fronte immobiliare e del debito pubblico.

Un salso saluto.

Stan

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