Amache urbane

Mia cara Berenice,

anche nel Nord Italia è prevista un’effimera tregua temporalesca molto simile a quella che tu mi descrivi, mentre nel sempre fortunato Mezzogiorno non beneficiamo nemmeno di quella. Subiamo invece un lungo, logorante assedio che ha fatto cadere almeno il mio personale mastio. Lentamente, per fame e sfinimento. Per quasi l’intero mese di giugno, era riuscito a non accendere l’aria condizionata, né a casa né in ufficio, esattamente come l’anno scorso. In luglio ne ho fatto un uso moderato e sporadico. Ora, sul finir del mese, mi sono avvolto in una bolla di aria fredda, come un abitante di Dubai e Singapore – anche negli Stati Uniti, per la verità, rammento un modus vivendi simile.

Qualche giorno fa, dopo avere da ore spento il condizionatore e aperto le finestre, mi sono svegliato di colpo all’alba, sudato: un vero affronto personale, uno schiaffo in pieno viso. Ho galleggiato in dormiveglia fino alle sette circa, ripensando a “Licorice Pizza” (USA, 2021), da poco rivisto alla Tiberina, e a quei materassi ad acqua venduti dal protagonista con l’aiuto di fanciulle in bikini: saranno freschi, almeno? Alla fine, ho deciso di approfittarne almeno per andare in ufficio prima del solito; l’addetta alle pulizie della mia stanza è quasi morta di paura, vedendomi comparire prima delle dieci.

Eppure, a Villa Pamphili, il vento soffia ancora, parafrasando Bertoli, non fresco, ma gagliardo. Proprio ieri, in pieno meriggio, mi sono sistemato sul crinale del colle, nei pressi della fontanella, la schiena posata al tronco di un pino, e un cristiano poteva starsene lì a leggere, senza dover leggere il libro con la sinistra e sventolarsi con la destra. Verso sera, poi, il clima era addirittura delizioso, ti beavi talmente delle silhouette dei pini che avevi voglia di ritagliarle da quel cielo fosco.

Il problema vero, insomma, sono i muri, con buona pace della coalizione di destra che quasi certamente andrà al governo dopo le elezioni di settembre. Bisognerebbe riconvertire all’uso urbano le amache, che salvarono le mie notti nei soffocanti Llanos del Venezuela, tra un tappeto di stelle e uno di rane gracidanti. Dormii saporitamente, senza pensare alle anaconda che strisciavano nei fossi e canali circostanti. Ci avrebbero pensato gli indigeni, gli indigeni pensavano sempre a tutto. Il giorno dopo ne afferrarono una per le froge e ce la gettarono in braccio, come una sirenetta.

Un saluto da quegli anni di beata incoscienza.

Stan

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