La Rosa di Lulo

Mia cara Berenice,

nella miniera di Lulo, in Angola, è stato trovato il diamante grezzo più grande del mondo, un diamante rosa da 170 carati.

Una storia molto africana.

La pietra verrà venduta all’asta dal Governo di Luanda, ma la compagnia mineraria che l’ha portata alla luce è australiana. Appunto per attirare aziende e capitali anglosassoni, l’Angola ha chiesto e ottenuto di aderire al Commonwealth, pur essendo un’ex colonia portoghese.

La Rosa di Lulo – così è stato battezzato il diamante – simboleggia un Continente ricchissimo di risorse naturali: oro, diamanti, petrolio, ma anche uranio. Eppure, a oltre mezzo secolo dal celebre discorso con cui il Primo Ministro britannico Harold Macmillan preannunciò la decolonizzazione dell’Africa, essa fatica a decollare.

Nonostante indubbi progressi fatti negli ultimi decenni, l’aspettativa di vita nell’Africa sub-sahariana resta ferma a circa sessant’anni: erano cinquanta negli anni ’90, addirittura quaranta negli anni ’60. Nell’Africa nel suo complesso, un nucleo familiare su tre si trova sotto la soglia della povertà e quasi mezzo milione di persone vive in condizioni di povertà estrema.

Se ne vede la fine? Si fa un gran parlare del potenziale soprattutto di alcuni specifici Paesi, come Sudafrica e Nigeria, quest’ultima soprannominata “la Cina nera” da Sam Hill su Newsweek.

Per ora, tuttavia, a parlare sono i dati ufficiali dell’Unione Africana, l’organizzazione regionale che ha sostituto la screditata Organizzazione per l’Unione Africana, soprannominata “il Club dei Dittatori”. L’UA ha adottato l’Agenda 2063, con l’obiettivo di migliorare drasticamente la situazione del Continente, appunto, entro il 2063. L’Agenda si articola operativamente in Piani Decennali, ma il panorama che si ricava dal II Rapporto Continentale, pubblicato dall’Agenzia per lo Sviluppo dell’Unione Africana questo febbraio, è desolante. Sono stati mancati, in modo che va dal vistoso al clamoroso, gli obiettivi fissati in termini di Prodotto Interno Lordo, disoccupazione, disuguaglianze, accesso ai servizi fondamentali, scolarizzazione, mortalità infantile e materna, agricoltura, pesca, preservazione del suolo, accountability, statistica. Va un po’ meglio sul fronte della parità di genere che, insieme ad altri indicatori, consente all’Unione di attribuirsi un generoso punteggio complessivo di 51/100, al netto anche del fatto che per molti Stati membri non ci sono dati statistici attendibili.

Uno sconsolato saluto.

Stan

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