Mia cara Berenice,
non immaginavo che tua madre si sarebbe stracciata le vesti per la parità tra euro e dollaro, pur immaginando la sua idiosincrasia per il volgare biglietto verde.
Quanto a me, confesso di non essere del tutto imparziale sulla questione. Le traduzioni, come sai, mi vengono pagate quasi sempre in dollari e raramente faccio acquisti online.
Tuttavia, non credo siano solo queste circostanze a farmi considerare la parità del tutto naturale.
Secondo i dati della Banca Mondiale, l’Unione Europea – peraltro più ampia dell’Eurozona – è la terza economia mondiale, nettamente dietro gli Stati Uniti e alle spalle anche della Cina. Mi pareva di ricordare un piazzamento migliore, addirittura al primo posto; probabilmente, la Brexit ha inciso molto.
Aggiungici che Stati Uniti e Cina sono Stati unitari – federale il primo, centralizzato il secondo -, mentre l’Unione Europea resta una comunità di Stati sovrani al cui interno non c’è nemmeno piena libertà di circolazione di persone, merci, servizi e capitali: chi si occupa di diritto dell’Unione Europea lo sa bene.
Difficile, quindi, giustificare un euro così forte, forse sorretto finora dalla naturale simpatia delle élite accademiche e finanziarie per una moneta sovranazionale.
Oltretutto, una moneta debole non è sempre svantaggiosa, come ripetono ossessivamente i fautori del ritorno alla lira: spinge le esportazioni. L’Italia è un Paese esportatore e l’Austria ancora di più, con le esportazioni che pesano per oltre il 55 per cento del PIL.
Un ottimistico saluto.
Stan