Romanzo noir

Mia cara Berenice,

l’ondata di calore, se non altro, mi sta facendo fare un giro sulle montagne russe all’interno del genere noir.

Nei giorni scorsi, il sole implacabile aveva ridisegnato la città nel segno dei forti contrasti, con la china, come in un fumetto di Miller. Ogni superficie scottava, come in quelle città del peccato in cui ogni archivio, ogni grande famiglia, ogni poliziotto, ogni giudice, ogni uomo e ogni donna nascondono oscuri, inconfessabili segreti: un verminaio che aspetta solo una buca nella terra per esplodere.

Ieri, per aggiungere spessore sociale alla narrazione, sono scoppiati diversi incendi, uno dei quali in un parco di bombole del gas: chi ancora riusciva a rinfrescarsi con le finestre è stato costretto a sprangarle. Una scena simile a quella dell’epilogo di “Joker” (USA-Canada, 2019).

Oggi siamo sotto la cappa di un cielo plumbeo che comunica una tensione e un’oppressione più sottile, meno violenta, più immobile e angosciante.

Naturalmente, non c’è noir senza una degna femme fatale. Costei è AC, l’aria condizionata, il cui abbraccio e bacio gelido sollevano l’inquilino dell’incubo urbano a un effimero paradiso, gradualmente venato da scosse di indefinibile inquietudine che finiscono per spezzarsi violentemente, come una flûte di champagne gettata violentemente contro il muro del club dal boss di turno.

Un saluto accennato con l’indice posato sulla larga tesa di un cappello con la lobbia, al di sopra di un tizzone di sigaretta.

Stan

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