Mia cara Berenice,
per il fine settimana è prevista un’ulteriore, brusca impennata della temperatura, già ben posizionata a trenta gradi abbondanti.
Per il momento, la prima linea di difesa tiene. Ho estratto dall’apposito vano vicino al frigorifero il telecomando del condizionatore, inserito due pile stilo e verificato che funzioni – anche perché avrò ospiti, questo fine settimana -; ma, al termine di tutto ciò, non ho azionato l’impianto. Tengo tutte le finestre aperte e, attraverso le fessure dei balconi, si genera un discreto mulinello d’aria. Quanto a me, me ne sto sdraiato sul divano e cerco di non muovere un muscolo, come un cecchino appostato tra le rovine di Stalingrado.
“Se stai fermo,” mi sussurra all’orecchio il mio vecchio sergente istruttore, digrignando al rallentatore quei suoi denti gialli di cui conosco ogni venatura, “il Sole non ti vede”.
Ai primordi dell’immigrazione in Italia, quest’ultima era rappresentata dai cosiddetti “vu’ cumpra’”, venditori ambulanti nordafricani che lavoravano porta a porta o lungo le spiagge, nella stagione estiva. Pellegrini indefessi, uno di loro arrivò perfino nella casa dei miei nonni, a F., dove ormai nemmeno il Vescovo mandava più preti o il Comune stradini.
Mio nonno, senza scomporsi né derogare minimamente alle consuetudini, invitò l’ospite ad assaggiare il vino di casa. Egli accettò, ma chiese di poter assaporare il prodotto casalingo della vite nel buio della cantina, per non farsi vedere da Allah.
Quanto a mio nonno, interrompeva l’assunzione di alcolici un giorno prima della visita dal cardiologo, “per non fare brutta figura”.
Un immobile saluto.
Stan