Le fabbriche

Mia cara Berenice,

se da anni ormai gli esperti ci parlano di un’economia basata sul terziario, la Venezie restano imperturbabilmente legate al settore primario e secondario.

L’imprenditore agricolo e specificamente vitivinicolo è re, l’operaio specializzato pure e, non di rado, le due corone ancora si fondono, come quella austro-ungarica, nella figura del metalmezzadro.

Così non è infrequente attraversare, in periferia o in aperta campagna, la Zona Industriale. File centuriate di capannoni dalle facciate ingentilite e accattivanti, colorate e circondate di verzura, presidiate da alloggi e guardiole di portineria; interminabili cancelli metallici verniciati di bianco e avvisi ai “signori conducenti” e “signori autisti”.

La Z., ai tempi di gloria, aveva uno snodo ferroviario dedicato. La P., multinazionale a pieno titolo, era un tempo di proprietà di C., ora Console Onorario d’Australia nel castello che ha rilevato da un Ordine religioso e convertito in hotel resort spa.

Due volte, in vita mia, ho attraversato il diaframma di quelle facciate. La prima volta, da studente universitario, per un lavoretto estivo procuratomi dall’agenzia interinale, una sostituzione ferie in pieno agosto in un cartonificio. La custode conosceva qualche mio collega in Facoltà e anche un sindacalista era interessato ai miei studi e mi parlò dei corsi di formazione del sindacato. Sul pavimento di cemento si era stratificata una crosta di sporcizia e le macchine per il taglio e la stampa dei cartoni erano veri e propri ciclostili, tra cui si aggirava con una ramazza una disabile psichica portata lì dal collocamento obbligatorio.

“Non dovrebbe stare qui,” mi confidò il capomacchina, riferendosi ai rischi posti dagli ingranaggi e dagli immensi lenzuoli di cartone tagliente.

La seconda volta venni da praticante legale, al seguito di un ufficiale giudiziario e due periti di parte, uno tecnico e uno contabile. Si trattava di un accesso a sorpresa, ai sensi del Codice per la Proprietà Industriale. In base all’ordinanza del Tribunale, dovevano consegnarci sull’istante tutta la documentazione relativa a un certo prodotto, presuntivamente imitato da disegni della concorrenza. Il vecchio patriarca strabuzzò gli occhi.

“Io non vi do niente!” Gridò in dialetto.

Sopraggiunse il figlio e le acque si calmarono, arrivò perfino un vassoio di tramezzini.

Niente ciclostili e sporco lì, naturalmente, un sacco di bianco e vetro.

Stan

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