I nuovi aedi

Mia cara Berenice,

secondo le previsioni, quando il lavoro da remoto o ibrido sarà a regime, gli uffici saranno spazi di coworking imperniati sulla scrivania condivisa, da prenotare come il posto sotto l’ombrellone. L’Alta Autorità Europea ne parlava apertamente già durante il mio semestre a Bruxelles. Io, da buon mediterraneo tradizionalista, sono un poco scettico.

Gli uffici sono feudi e simboli, difesi con le unghie e con i denti. Al mio arrivo all’Ufficio del Primo Ministro, il Capo Dipartimento temeva che la stanza singola assegnatami mi attirasse gelosie e ritorsioni. Al Ministero, ogni riallocazione delle stanze – anche nel periodo post pandemico – incardinava un’actio finium regundorum, con i funzionari dell’Ufficio del Consegnatario a ispezionare cautamente i corridoi, come i membri di una Commissione di Demarcazione ONU.

C’è poi la pandemia non ancora esaurita, tra varianti e sottovarianti, con i relativi strascichi psicologici, rinfocolati dall’arrivo nientemeno che del vaiolo delle scimmie. Passerà davvero molto tempo, credo, prima che qualcuno abbia voglia di condividere la postazione di lavoro.

In ogni caso, il regime transitorio attuale ha già adottato un proprio parametro, il computer portatile collegato a tastiera, schermo e mouse. Quando sa che il giorno successivo dovrà lavorare da casa, il dipendente lo scollega e se lo infila in borsa. Ho visto ormai adottare questo sistema al Ministero, all’Alta Autorità e all’Ufficio del Primo Ministro.

In tutti e tre i casi, la gabola è stata sempre la stessa: di ottima qualità e dimensioni la postazione fissa, esiguo e penoso il portatile. Si può sempre, dirai tu, usare un proprio computer personale; ma generalmente è proibito e non consente di accedere a certi servizi e applicativi interni. All’Alta Autorità, in particolare, non si poteva fare praticamente nulla.

Nell’Ufficio del Primo Ministro si è verificato un ulteriore inconveniente, certo transeunte e legato alle centrali di committenza. La presa unica per collegare il portatile al resto dell’apparato, denominata ufficialmente stazione di espansione (docking station) e accrocchio dal nostro funzionario informatico, tende a surriscaldarsi, così pregiudicando la funzionalità dello schermo e della rete Internet locale.

“Ormai è tutto cinese,” ha commentato il tecnico inviato dagli Affari Generali, soppesando nella mano il tizzone incandescente, “ma c’è cinese e cinese”.

Morale della favola? Gli informatici sanno coniugare mirabilmente praticità e poesia, come il seminatore del D’Annunzio.

Alalà!

Stan

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