Nelle viscere del Ghetto

Mia cara Berenice,

a Roma è un periodo di grandi ritorni.

Ho avuto conferma proprio in questi giorni della nuova, rinnovata edizione de “L’isola del cinema”, il festival sulla Tiberina che ha deliziato le mie estati. I muri della rocca che incombono, il mormorio del Tevere, lo stormire degli uccelli… non credo possa esserci arena più bella, anche se non ho mai visto quella al laghetto dell’EUR, di cui pure si dicono meraviglie.

Ieri sera, nel frattempo, si è tenuta l’edizione 2022 della Notte dei Musei, con aperture prolungate fino alle 2 del mattino e straordinarie, al prezzo simbolico di un euro.

Ne ho approfittato per visitare il Museo Ebraico del Ghetto, il cui itinerario include il Tempio Maggiore o Grande Sinagoga.

L’apertura serale, fissata alle 20.30, era qui posticipata alle 21.30, per far tramontare il sole e concludere il sabato ebraico.

Intorno alle 21.20, pertanto, mi sono accodato alla fila formatasi lungo l’alta balaustra metallica che protegge la sinagoga. Al capo opposto c’erano la solita guardiola della polizia – identica a quella del Ghetto di Venezia – e un ingresso ben protetto da una porta girevole d’acciaio, dove due agenti in borghese sottoponevano persone e borse a una scansione non meno accurata di quella aeroportuale. Erano entrambi estremamente professionali e cortesi, e mostrarono grande tatto nel rassicurare una bambina che non voleva saperne di separarsi dalla madre, come richiedeva la procedura.

Una volta autorizzati all’ingresso, si veniva fatti scendere nei sotterranei della sinagoga, dove si trova il museo vero e proprio, colmo di sontuosi ornamenti liturgici donati nei secoli delle più illustre famiglie, ma anche di riferimenti al ruolo degli ebrei nel Risorgimento. Vi parteciparono in modo significativo, sia perché ben collocati in società, sia in virtù dei loro rapporti non proprio idilliaci con la Santa Sede, la Chiesa e lo Stato Pontificio. Erano insomma dei patrioti che si sentirono doppiamente traditi dalle Leggi Razziali del 1938.

Mi ha colpito in modo particolare il ritratto di un alto magistrato ebreo, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma. Sedeva ritto, in toga solenne, con appuntate sul petto le medaglie che si era guadagnato durante la Grande Guerra; eppure non gli venne risparmiata la radiazione dai ruoli della Magistratura.

Comparve una ragazza con un piccolo ciondolo raffigurante la stella di David sul petto e l’orecchio delicatamente intarsiato di gioielli. Invitò chi avesse completato la visita del museo a seguirla di sopra, in sinagoga.

Superata la massiccia porta intagliata, il Tempio Maggiore si presenta simile a una chiesa cattolica, con tanto di cappellette laterali: fu progettato, in effetti, da due architetti cattolici. Superata questa prima impressione, tuttavia, si notano sottili differenze. I banchi innanzitutto, quasi tutti nominativi e dotati di uno stipetto chiuso a chiave in cui riporre il libro per la preghiera. Onnipresente il cognome Piperno, citato anche ne “Il marchese del Grillo” (Italia-Francia, 1981). La prima fila è riservata alle autorità: l’Ambasciatore d’Israele presso l’Italia e presso la Santa Sede, i Presidenti e Segretari di varie organizzazioni, e così via. Alcuni posti spettano agli ex deportati.

L’assoluta mancanza di figure umane o animali sui muri, sulle prime, la si classifica distrattamente come austerità romanica. La divinità è richiamata dal cielo stellato sul soffitto e i suoi nomi sacri, che è ammesso pronunciare solo durante la preghiera, sono scritti sulle pareti, a cui sono agganciate anche cassette metalliche per le offerte in favore di diverse organizzazioni ebraiche. Chi non dispone di un libro della preghiera personale può prenderlo in prestito da uno scaffale accanto all’ingresso, con severa ammonizione a non sottrarlo o chiuderlo a chiave nello stipetto.

Alle donne sono riservate delle navate laterali delimitate da grate e la galleria. L’analogia con il vecchio cattolicesimo preconciliare è accentuata dal rito che si svolge completamente in ebraico, nonostante gran parte dei fedeli non lo comprenda affatto. Chi ha dubbi o questioni da sottoporre al Rabbino, lo fa per lo più privatamente, nel suo ufficio: una scena ricorrente nei film americani, soprattutto in “A Serious Man” dei fratelli Cohen (GB-Francia-USA, 2009)… e c’era qualcosa delle surreali atmosfere dei Cohen, devo dire, nell’osservare tre azzimati seminaristi affollarsi intorno alla giovane guida.

Su uno dei banchi laterali è posato un canestro di rametti di rosmarino, che usa brandire e odorare alla conclusione del sabato.

Un rispettoso saluto.

Stan

Una replica a “Nelle viscere del Ghetto”

  1. […] di San Pietro l’avevo visitata ben prima di trasferirmi a Roma. La Grande Sinagoga, come ti scrissi, mi ha finalmente aperto le sue porte quest’estate. Tra i templi delle Genti del Libro, non […]

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