Mia cara Berenice,
i dati ufficiali sono chiari: i cinema italiani stanno male, malissimo, agonizzano.
Nel 2021 sono addirittura andati peggio rispetto al 2020, quando erano chiusi. È vero che nel 2020 la pandemia arrivò solo a fine febbraio e ci furono effimere riaperture; è vero che la ripartenza del 2021 fu estremamente faticosa, tra limiti di capienza, mascherine, igienizzazioni e film rinviati o fatti uscire direttamente sulle piattaforme; è vero, infine, che la stagione cinematografica tradizionalmente va dall’autunno all’estate, rendendo difficile fare confronti anno su anno.
Tanto premesso, negli altri Paesi europei il 2021 dei cinema è andato nettamente meglio, partendo per di più da una situazione prepandemica incomparabilmente più favorevole: la Francia, ad esempio, ha una densità di sale nemmeno paragonabile a quella italiana.
Sulla rivista Il Mulino, il cineasta Alessandro Rossi ne ha per tutti: Ministero della Cultura, sistema di distribuzione, esercenti. Rossi liquida con scetticismo forse giustificato la proposta di adottare il modello francese, imponendo per legge la cosiddetta “finestra” di diversi mesi fra l’uscita di un film e la disponibilità del medesimo sulle piattaforme digitali.
Io, nel mio piccolo, ne avevo già parlato con la Presidentessa del nostro cinema ex parrocchiale, nelle Venezie. Le avevo detto che, a Roma, teatri e cinema non se la passano male e speravo che la medesima tendenza, secondo un consolidato schema, si riversasse in provincia.
Se così non fosse, mi auguro che il Ministero della Cultura o le organizzazioni di categoria sappiano fare leva abilmente sugli interessi economici di Hollywood. Gli Studios hanno ogni convenienza a salvare il cinema, da cui proviene ancora il grosso degli incassi, per non parlare del fatto che tutto quanto viene reso disponibile sulle piattaforme digitali è immediatamente preda dei pirati informatici.
Purtroppo, temo non sia un problema risolvibile dal basso, ossia a livello di sale di comunità, come sembra suggerire Rossi. Proprio i piccoli cinema, secondo l’autore, dovrebbero farsi araldi di un marketing più moderno e aggressivo. Queste cose, però, costano. Se non riescono a metterle in campo i grandi multisala, non si può chiedere ai piccoli cinema di fare miracoli: nemmeno nel Nord Est, patria della cosiddetta multinazionale tascabile.
Uno speranzoso saluto.
Stan