Mia cara Berenice,
ieri sera, sul secondo canale della TV di Stato, davano “C’era una volta a… Hollywood” (USA-GB, 2019), con Brad Pitt, Leonardo DiCaprio, Margot Robbie e Dakota Fanning. Insieme a “Bastardi senza gloria” (USA-Germania, 2009), i due “Kill Bill” e “Django Unchained” (USA, 2012), un gradito regalo di Tarantino, che avevo sbrigativamente archiviato dopo “Jackie Brown” (USA, 1997), probabilmente in reazione al fanatismo cieco che il regista di “Pulp Fiction” suscitava all’epoca.
Il climax della storia di “C’era una volta a… Hollywood”, che non svelerò, mi ha colpito per un particolare apparentemente secondario: il modo in cui tutto, in California, sembra ruotare intorno ai ristoranti messicani.
In effetti, quando visitai la Costa Occidentale, ricordo che il Tex-Mex o una sua declinazione limitrofa era onnipresente, perfino nei fast food. In tutta franchezza, lo trovai orribile, ma sono passati davvero parecchi anni ed è possibile che le cose siano cambiate. Magari si è affermata una cucina messicana più pura, dato che un abitante della California su tre è ispanico; già all’epoca, in effetti, i cartelli erano tutti bilingui.
E qui a Roma?
Secondo il sito di gastronomia Puntarella Rossa, i migliori ristoranti texani in una città tenacemente abbarbicata alla sua cucina tradizionale sono Puerto Mexico sulla Portuense, El Pueblo ad Aurelio e La Punta Expendio de Agave a Trastevere. Sul menù di quest’ultimo compaiono taco, tostada, ceviche, churros e paleta.
I churros, piuttosto comuni del resto anche in Italia, li mangiai in Venezuela; non sono proprio uno spuntino leggerissimo, soprattutto ricoperti di cioccolato fuso.
A Venezia, con mia sorpresa, ci sono ben due ristoranti messicani, l’Iguanna in zona Ghetto e il La Cantinita al Lido, apparentemente aperto tutto l’anno; nulla a Marghera-Mestre.
Panorama prevedibilmente più variegato a Padova, con un’offerta concentrata soprattutto nel centro storico.
Buenas.
Stan
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