Mia cara Berenice,
negli Stati Uniti all’ondata delle Grandi Dimissioni è seguita la risacca, la grande maggioranza di chi ha cambiato lavoro dichiara ora di essersene pentita, e a qualcun altro sarà pure successo di non essersi ricollocato affatto.
È la rivincita della saggezza popolare italica, dove si sottende a un mercato del lavoro statico la convinzione che i posti di lavoro, alla fin fine, si somiglino tutti.
Con la contraddittorietà tipica appunto della saggezza popolare, dove per un proverbio ce n’è sempre uno opposto, si soggiunge poi che chi lascia la vecchia per la trova, peggio trova. Quest’ultimo brocardo fa perno sulla naturalissima ansia di chi valuta di lasciare un posto di lavoro per un altro, anche leggermente meglio retribuito.
E se il capufficio fosse peggio di Mauro?
Se allungasse le mani, magari?
E se i colleghi fossero più stronzi?
E il parcheggio ancora più difficile da trovare?
E se fosse in vigore il divieto di mangiare in ufficio?
E così via…
Per chi, come me, lavora nel settore pubblico, gli inconvenienti della transizione sono decuplicati dallo stridore assordante degli ingranaggi anchilosati.
Nel transitare da un ente a un altro, ogni pubblico impiegato sa che varie attese andranno ad affastellarsi in una pila destinata a ingombrare l’orizzonte per mesi.
L’assegnazione delle Risorse Umane al Dipartimento.
L’assegnazione del Dipartimento alla Direzione Generale.
L’assegnazione della Direzione Generale all’Ufficio.
L’emissione del tesserino di riconoscimento.
L’assegnazione della postazione di lavoro.
L’assegnazione del profilo utente e password.
L’assegnazione dell’indirizzo di posta elettronica istituzionale.
La profilatura sull’Intranet e sui vari sistemi informatici e cloud.
L’apertura della partita stipendiale.
Poi c’è la nube d’incenso del patrimonio culturale immateriale di ogni Amministrazione, di ogni Ufficio.
Dove stanno la macchinette del caffè?
Come ci si procura la chiavetta?
Quali sono i codici da digitare in sede di timbratura?
Cosa bisogna fare se il tesserino magnetico non viene letto?
C’è un microonde, da qualche parte?
Dove si va a fumare?
Quando vengono pagati i buoni pasto?
Perché, alla mensa, la macedonia consumata al tavolo costa di meno da quella da asporto? Ed è possibile farsela dare da asporto, ma consumarla al tavolo?
Il Ministero aveva nei suoi ruoli bibliotecari e storici: tutto ciò andrebbe codificato e organizzato in annali.
Un convinto saluto.
Stan
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