Mia cara Berenice,
“netisia” è una parola veneta, al crocevia tra pulizia, nitore, minimalismo, funzionalità, praticità e limpidezza. “Beata ‘a netisia,” usava dire mia nonna, constatando che una pietanza era stata interamente consumata. È il concetto di netisia che spinge mio padre a borbottare all’ingresso in casa di un nuovo soprammobile, o mio zio ad acquistare una serie di capi quasi identici per semplificare il guardaroba.
Mesi fa, la signora del piano di sopra si è lamentata della sozzura del mio limone infestato dalla cocciniglia che, pur restando circoscritta al mio giardino privato, a suo dire intaccava gravemente il decoro del condominio. Le ho spiegato pazientemente che il suddetto limone era stato trattato e potato due volte, senza alcun esito apprezzabile. Mi sono congedato e, poco dopo, ho notificato telefonicamente al figlio della signora che l’albero sarebbe stato abbattuto. Ha espresso rammarico per la dipartita di un albero storico. Troppo tardi.
Oggi, lo stesso operaio che ha iniziato l’opera l’ha completata, sgomberando il giardino e l’attiguo locale caldaia da una congerie di masserizie inutili, accumulatesi in parte per colpa mia, in parte della precedente proprietaria di casa. Quando se n’è andato, ho dato una prima pulita; una seconda, più a fondo, la darà la signora delle pulizie, vera regista dell’operazione. Infine, ho portato a stirare tutte le camicie, sgomberando così anche la sedia della camera su cui erano impilate.
Ora un gelido vento siberiano, presago dell’ennesima invasione russa, spazza il giardino, le piazze e le strade di Roma, allontanando a ceffoni i coriandoli sparsivi dai piccoli demoni del Carnevale.
Un soddisfatto saluto.
Stan
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