Mia cara Berenice,
l’improvvisa e improvvida invasione russa dell’Ucraina – personalmente, ero convinto si sarebbero accontentati del Donbass, rimettendo in scena il copione già visto per la Crimea – ha scatenato la prevedibile guerra di propaganda, arte in cui del resto i russi sono degni eredi dei sovietici.
Le fonti dirette sono poche, le notizie si contraddicono, il materiale caricato in Rete non sempre è attendibile; la stampa italiana, per esempio, si è fatta turlupinare da foto di una parata militare del 2020 e addirittura di un videogioco.
Tuttavia, lo stesso Governo di Kiev avrebbe ammesso che la Russia ha preso il controllo dell’ex centrale nucleare di Chernobyl, sopraffacendo la locale guarnigione. È difficile immaginare battaglia che sia simbolo più eloquente di questa guerra.
C’è tutto.
L’incoscienza di combattere tra scorie radioattive e misure di contenimento sovietiche (il famoso sarcofago in cemento armato colato sul reattore) la cui obsolescenza ha suscitato non pochi allarmi fra gli esperti.
Gli strascichi dell’ottusa oppressione russa.
La comprova dei tratti coloniali, ereditati dall’Impero zarista, di un’Unione Sovietica ufficialmente federalista o addirittura confederale, in pratica iper-centralizzata.
La miseria di combattere per un lembo di terra contaminata.
Il sapore di presagio della fortunata miniserie angloamericana del 2019, accolta in Russia con una denuncia per diffamazione da parte del Partito Comunista, ma anche dei vari film e videogiochi occidentali hanno sfruttato Chernobyl come ambientazione dell’orrore, immaginando che il pulsante cuore radioattivo generasse mostri, mutanti, golem, zombie…
Chernobyl.
Un saluto gracchiante diffuso dagli altoparlanti.
Stan