Mia cara Berenice,
prendo le mosse dal tuo esempio danese per tratteggiare un’Europa ormai piuttosto chiaramente orientata alla convivenza con il virus.
Fino a poco tempo fa, questa strategia era in gran parte un eufemismo, un po’ come la “difesa flessibile” della Wehrmacht sul fronte orientale. La stessa Danimarca, come tu ricordi, tentò la revoca definitiva di tutte le restrizioni l’anno scorso e fu costretta a fare marcia indietro. Qualcosa di analogo, aggiungo io, avvenne in Italia nell’estate 2020.
Questo per il passato. Ora, invece, ho fiducia che l’effetto combinato di vaccini, immunità naturale e varianti benigne renda la famosa convivenza qualcosa di più di una vuota parola.
Resistono, a Oriente, bastioni della strategia alternativa “covid zero”, basata su test di massa, tracciamento aggressivo dei contatti e restrizioni dure al primo emergere di un focolaio.
Mi chiedo quanto, ancora, queste ridotte possano reggere all’assalto dello sciame omicron. L’Australia ha gettato la spugna. La Cina sta pagando un prezzo molto pesante in termini di isolamento e di gestione delle Olimpiadi Invernali. La Nuova Zelanda si è trovata in gravissimo imbarazzo con il caso Bellis.
Charlotte Bellis è una giornalista televisiva neozelandese di Al Jazeera, inviata a Kabul da Doha. Ha partecipato alla prima conferenza stampa dei talebani dopo la caduta della capitale, ponendo la domanda: “Cosa farete per proteggere i diritti delle donne e delle ragazze?”
A Kabul vive con il fidanzato belga, fotografo del New York Times. Resta incinta. Non può stare in Qatar, dove le donne gravide non sposate finiscono in cella. Per motivi burocratici, non può accompagnare il fidanzato in Belgio. A causa delle rigidissime restrizioni anticovid, non può tornare in Nuova Zelanda. L’unica strada che le si apre davanti è quella per Kabul e finisce col chiedere garanzie ai talebani. Secondo quanto riportato dalla stessa giornalista in una lettera aperta al Governo di Wellington pubblicata dal New Zealand Herald, il suo intelocutore avrebbe risposto con un sorriso: “Siamo felici per lei, può venire e non ci sarà nessun problema. Dica solo che siete sposati e, se la situazione degenera, ci chiami. Non si preoccupi. Andrà tutto bene”.
“Quando una donna sposata e gravida deve ottenere asilo dai talebani,” conclude prevedibilmente la Bellis, “c’è davvero da preoccuparsi”.
Insomma, le politiche di chiusura hanno spesso risvolti paradossali; per una volta, ne converrà anche la destra, tendenzialmente fredda sulle misure di contenimento sanitarie.
Un divertito saluto.
Stan
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