Mia cara Berenice,
ti ricordi quando andammo a quel matrimonio e ci propinarono il sosia di Renato Zero?
Spiagge
Immense e assolate
Spiagge già vissute
Amate e poi perdute!
Eri così livida che temevo sterminassi tutti i presenti pietrificandoli, come un basilisco. Quanto a me, rimirando la tua espressione omicida, una volta tanto mi divertii a un matrimonio.
Se può consolarti, il pensiero delle dorate sabbie italiane non sollazza nemmeno Bruxelles.
Le spiagge, in Italia, fanno parte del demanio marittimo. Gli stabilimenti balneari che le gestiscono a beneficio dei turisti sono, tecnicamente, concessionari. Fin qui, nulla di male. Il problema è che si continua a prorogare all’infinito queste concessioni, anziché rimetterle a bando.
Perfino l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, proveniente dalla Banca Centrale Europea, ha appena presentato un Disegno di Legge della Concorrenza in cui si glissa elegantemente su questo aspetto.
Cosa blinda così potentemente le concessioni balneari? Il lobbying delle loro organizzazioni rappresentative? L’inveterato consociativismo e corporativismo italico? Mera impotenza governativa e ministeriale?
Probabilmente un po’ di tutto questo, ma non solo. I tassisti, ad esempio, sono più organizzati e temibili dei proprietari di stabilimenti, ma – per quanto forse abbiano ottenuto ragione sulla carta – Roma è piena di Noleggi Con Conducente e l’app di Uber funziona tranquillamente. La debolezza dello Stato non ha impedito di colpire categorie considerate intoccabili, come dipendenti statali e chierici. Gli avvocati, numerosissimi anche in Parlamento, con un Ordine per Provincia, sono in crollo vertiginoso e verticale, come i gravi lasciati cadere da Galileo dalla Torre di Pisa.
Perché, dunque, questo strenuo attaccamento agli stabilimenti balneari vecchia scuola? Il sospetto è che essi incarnino in modo particolarmente spiccato un ulteriore fattore che sta alla base, alla radice di tutti quelli sopra descritti, l’inestinguibile nostalgia per l’Italia del miracolo economico, degli anni ’50 e ’60, delle prime auto e dei primi assaggi di turismo di massa, appunto sulle spiagge.
Esagerato? Patetico? Non tanto, se si mettono le cose in prospettiva. L’Italia è nata nel 1861, in tempi relativamente recenti rispetto ad altri Stati europei. Per tutta la sua esistenza ha fatto, per citare il Manzoni, “un chilo agro e stentato”, un’esistenza grama.
Prima la guerra al brigantaggio, considerata da molti storici una vera e propria guerra civile.
Poi l’avventura coloniale che portò la battaglia di Adua, la prima grande sconfitta subita da una Potenza europea in Africa, e poco altro, se è vero che l’Italia stessa ritenne di avere un impero oltremare solo nel 1936, con l’effimera conquista dell’Etiopia.
Poi la Grande Guerra, la “vittoria mutilata” di D’Annunzio riportata a carissimo prezzo.
Poi il Ventennio fascista.
Poi la Seconda Guerra Mondiale, l’8 settembre e una nuova guerra civile.
Poi gli Anni di Piombo, la Seconda Repubblica e gli anni plumbei dell’austerità.
In tutto questo, una sola insula felix, un solo loecus amoenus: il miracolo economico degli anni ’50-’60.
Normale che qualcosa, nelle profondità della psiche italica, urli: non plus ultra! Hic sunt leones!
Ave atque vale.
Stan