Ancora sul caso Lucano

Mia cara Berenice,

mi rimproveri di aver discettato di questioni legali generali, anziché concentrarmi sul caso dell’ex Sindaco di Riace, che tanto scalpore ha sollevato.

In realtà, non sono rimasto inoperoso, ma in questi giorni ho progressivamente raccolto vari elementi. Editoriali, opinioni di amici avvocati e, ultimo ma non ultimo, il dispositivo della sentenza, non ancora depositato nella sua integralità.

Da tale dispositivo emerge che a Lucano non sono state concesse né le attenuanti generiche, né quella di “avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale”, pure prevista dal Codice Penale.

Direi che questo, se non è una pistola fumante, dà comunque indicazioni piuttosto chiare sulla postura, anche ideologica, adottata dalla Corte.

Mi ha colpito anche un articolo di Luigi Manconi che, dalle colonne della Stampa, parla di “giustizia scollegata dalla realtà”.

Effettivamente, chi lavora nella Pubblica Amministrazione sa che è praticamente impossibile fare qualunque cosa con la certezza di non violare qualche recondita norma o raggiungere qualsivoglia risultato utile senza piegare spericolatamente la legge, come un trapezista che si esibisce senza rete.

Intervenendo a un convegno tenutosi a Madonna di Campiglio all’inizio di luglio, il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, l’Eccellenza Angelo Canale, ha descritto una Pubblica Amministrazione paralizzata dal caos normativo.

Il punto nodale del problema – l’alternativa secca tra inerzia e galera – è appunto questo, come ha confessato lo stesso Procuratore della Repubblica di Locri, l’Eccellenza Luigi D’Alessio: “Non avremmo dovuto farlo? E perché? Lucano è al di sopra della legge? O chiunque può commettere qualsiasi reato purché a fin di bene?”

In parte, il Procuratore ha ragione: ma solo in piccola parte.

Infatti, se il diritto italiano è stato inghiottito dall’incubo dietro lo specchio di una biblioteca di Babele, la colpa non può essere attribuita esclusivamente al legislatore, ma all’intera comunità epistemica, comprensiva di giurisprudenza e dottrina.

Inoltre, se un imputato ha agito, per riconoscimento dell’accusa, “a fin di bene” e senza lasciarsi dietro cadaveri o arti mutilati, ci sono moltissime leve che Procura e Tribunale possono azionare per darne conto: dalle attenuanti sopra descritte al minimo e massimo edittale della pena.

Dixi.

Stan

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