La dura vita delle Bond girl

Mia cara Berenice,

ho già avuto modo di narrarti la disavventure vissute sul grande schermo dall’attrice cubana Ana de Armas.

A dimostrazione che sono preveggente (o che porto jella, direbbe il buon Manfredi), anche oggi sono stato colpito dalla parte assegnatale in “No Time to Die” (GB-USA, 2021). Breve, poco funzionale alla trama, interamente trascorsa in un abito da sera scollatissimo e sgambatissimo che, peraltro, non le impedisce di sparare e combattere come Rambo. Se ne stupisce lo stesso Bond, dato che, fino a quel momento, Paloma era sembrata una svampita.

Non se la passano meglio, del resto, le sue colleghe.

Naomie Harris, già agente operativa, demansionata a segretaria di M.

Lashana Lynch, la nuova 007, costantemente messa in ombra dal pensionato Bond e, soprattutto, senza grosse speranze di diventare titolare effettiva nel prossimo film.

Léa Seydoux, alla fin fine, la solita femme fatale francese di cui è meglio non innamorarsi, perché nella peggiore delle ipotesi ti tradisce, nella migliore ha comunque un’anima oscura e un passato misterioso.

Si salva la Dame Judi Dench, di cui intravediamo almeno il ritratto appeso alle pareti dell’MI-6.

Insomma, la Bond girl non se la passa troppo bene… oppure prospera, se la intendiamo come categoria e stereotipo.

Un languido saluto.

Stan

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