Mia cara Berenice,
capisco il panico di tua madre, ma, fossi in lei, non darei troppo peso alle voci di dimissioni di Papa Francesco. Si tratta, appunto, di voci, per di più diffuse da elementi ultraconservatori che non vedono l’ora di rispedire il Pontefice in Argentina, se possibile in Patagonia.
Certo, resta affascinante la prospettiva che, nella prassi, i Papi prendano ad andare in pensione, anziché restare abbarbicati alla Cattedra di San Pietro fino al loro ultimo respiro.
La Santa Sede, credo, ne guadagnerebbe. Nelle aule patavine, il cattedratico di Diritto Canonico avvertiva che nessuna norma regola l’ipotesi di una grave infermità fisica o mentale del Pontefice regnante. Non esisterebbero meccanismi di reggenza analoghi a quelli previsti per le monarchie civili.
Ho svolto una verifica, diffidando non già del buon Prof. C. – così amante delle battute sulla consumazione del matrimonio -, ma della mia memoria.
Il canone 335 del Codice di Diritto Canonico recita: “Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze”.
Dal canone 412, riferito alla sede episcopale, si evince che la sede si intende impedita quando il Pontefice è “totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale […] a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera”.
Il canone 335, quindi, equipara l’ipotesi dell’inabilità del Pontefice a quella della sede vacante sotto la medesima clausola di stand still; il che lascia perplessi, in quanto la sede vacante dura solo il tempo necessario per eleggere il nuovo Papa, mentre l’inabilità può protrarsi per anni.
Quando alle leggi speciali a cui si fa riferimento, a meno che mi sfugga qualcosa, l’unica vigente è la Costituzione Apostolica “Universi Dominici Gregis”, promulgata da Papa Giovanni Paolo II nel 1996.
Anche la Costituzione, tuttavia, disciplina la sola ipotesi della vacanza della sede, affidando “il governo della Chiesa solamente per il disbrigo degli affari ordinari o di quelli indilazionabili” non al Camerlengo, come spesso si ritiene, ma al Collegio dei Cardinali; quest’ultimo assume anche “tutto il potere civile del Sommo Pontefice, concernente il governo della Città del Vaticano”, da esercitarsi però solo “in caso di urgente necessità e per il solo tempo della vacanza della Santa Sede”.
Le ragioni della riluttanza del diritto canonico a disciplinare la sede impedita appaiono evidenti. Chi mai potrebbe dichiarare inabile il Papa? Un collegio medico? Il Collegio dei Cardinali? Uno dei Tribunali della Sede Apostolica, ossia la Rota Romana o il Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica?
Eppure, stante la prassi di eleggere al Soglio Cardinali piuttosto anziani, una riforma appare necessaria e urgente.
Un triplice benedicente saluto.
Stan
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