Mia cara Berenice,
la mia opinione sulla questione afghana te l’avevo già ampiamente anticipata.
Mi limito, perciò, ad allegarmi un raccontino ispiratomi dalla caduta di Kabul: si intitola “La lobby”.
Un saluto.
Stan
LA LOBBY
“E quindi io gli faccio: lavoro in una lobby. E lui: di un hotel? L’appuntamento sarebbe dovuto finire lì, stupida io a continuare”.
“Nah, sei troppo schizzinosa: nessuno sa cosa sia una lobby, a Roma. Non siamo né a Bruxelles né a Washington”.
L’avvocatessa d’ufficio dell’utente Tinder non aveva, in effetti, tutti i torti. La Peacebuilding International, lobby pacifista attiva a Washington, Londra e Bruxelles, avevo deciso di aprire un piccolo ufficio a Roma negli anni ’90, quando l’Italia era ancora uno dei principali produttori di mine antiuomo.
La sede era rimasta aperta perché l’Italia, pur avendo interrotto la produzione, non avevo ancora ratificato la Convenzione di Ottawa che la metteva definitivamente al bando… e poi, a Roma c’erano la Santa Sede, la FAO, il WFP…
Così, negli uffici dell’EUR era rimasto il primo scaglione di personale, ben contento di essersi trasferito da Washington, Londra, Ginevra e Bruxelles. Col tempo, si era aggiunta una squadra di giovani masterizzate italiane.
Sull’open space in cui era incasellata la maggior parte delle scrivanie pencolava una TV a schermo piatto. Normalmente, serviva solo a darsi un tono e fornire un po’ di rumore ambientale. Quel giorno, tuttavia, la CNN aggiornava in tempo reale le ragazze sull’assedio di Kabul. Per la stessa ragione, le giovani erano presenti quasi tutte, in deroga alle turnazioni applicate dall’inizio della pandemia e, del resto, mai rigidamente rispettate.
“La bandiera talebana,” annunciò in inglese il giornalista, “sventola ormai dal Palazzo Presidenziale. Il Capo dello Stato ha lasciato il Paese con destinazione ignota”.
“Ma cazzo!” Sbottò Lorena.
“Dieci miliardi!” Fece eco Chiara. La cifra, stimata dall’Osservatorio sulle Spese Militari Italiane, era in effetti un poco più bassa, ma preferì arrotondare.
“Ma possibile che nessuno risponda di dieci miliardi buttati nel cesso?”
Tutti gli occhi si volsero verso Filomena, la legal officer. Tuttavia quest’ultima, esperta di diritto internazionale umanitario, non ne sapeva poi molto. Pronunciò, pertanto, la sua parola d’ordine in casi del genere: “Verificherò”.
In realtà non intendeva verificare proprio nulla, ma Tummy, la Director, aveva sentito la conversazione dal suo ufficio e, solo poche ore dopo, le chiese via mail se “avesse trovato qualcosa”.
Filomena impallidì. Fece qualche sommaria ricerca, poi ebbe l’idea di chiamare Donatella, sua compagna di corso alla Sapienza, ora in forze a un grosso studio di diritto amministrativo dei Parioli.
Sette, otto, nove, dieci squilli… stava per riagganciare, quando Donatella accettò la chiamata. L’aveva fatto automaticamente, senza nemmeno verificare da chi provenisse. Vedeva di malocchio Filomena che se ne stava a pettinare le bambole in una ONLUS, mentre lo Studio Meccanico and Partners ammazzava lei di lavoro, dal lunedì alla domenica.
“Pronto?!”
“Ciao Donatella, come va?”
“Mena? Bene, grazie, tu?”
“Abbastanza. Qui siamo in agitazione per l’Afghanistan, come puoi immaginare”.
“Sì, immagino,” ironizzò Donatella.
“L’Italia ha buttato dieci miliardi in quella missione, ci pensi?”
“Già,” masticò amaro Donatella, pensando a quanto Erario e Cassa Forense le estorcevano ogni anno.
“Senti, secondo te, sarebbe possibile che qualcuno ne risponda… non so… davanti alla Corte dei Conti… o in altra sede?”
“No, Mena, scordatelo. Sono atti adottati dal Governo nell’esercizio del potere politico”.
“Ho capito, ok. Scusa il disturbo”.
“Niente”.
“Ti offro un caffè, uno di questi giorni”.
“Certo, certo. Ciao”.
“Ciao”.
Filomena depose il cellulare sullo scrittorio, sbuffò e sospirò. Tutti convinti che lavorare in una lobby pacifista fosse l’equivalente di starsene seduti su un prato a fumare marijuana, come i figli dei fiori. Del resto, Donatella se l’era sempre tirata… che poi aveva fatto la tesi con Filisetti al quale, davanti a una studentessa graziosa, calava la bava… grazie al cazzo che aveva preso 110 e lode… lei aveva preso 105, ma poi aveva fatto un master dei più prestigiosi… certo, era costato quello che era costato…
“Solo i morti hanno visto la fine della guerra” – George Santayana