Mia cara Berenice,
come d’abitudine, dopo aver accompagnato M. a Termini, ho raggiunto a piedi Piazza Venezia e da lì, preso il Tram 8, ho allungato fino a Villa Pamphili. Mi pareva, infatti, che spirasse un certo venticello e il caldo fosse più sopportabile.
In breve è arrivata quell’ora, tra le sei e le sette della sera, in cui il parco si popola di cani e dei loro padroni.
Villa Pamphili non sarebbe tale, senza i suoi frequentatori canini.
Una volta, una gigantesca zampa da elefante si è abbattuta sul libro che stavo leggendo, sdraiato sul telo.
Un’altra, in analoghe circostanze, una cagnolina mi si è gettata addosso, leccandomi festosa il viso.
Stasera, una cagna da caccia si è piazzata a qualche metro da me e ha preso ad abbaiare al mio indirizzo. Il padrone, nello scusarsi, si è lamentato teatralmente sull'”avere un cane del genere”.
Immediatamente dopo, avvicinandomi alla fontanella ai piedi del declivio, l’ho trovata occupata da una signora che discuteva animatamente con il suo grosso e peloso esemplare: “Scusi, eh? Un quarto d’ora che ci sto litigando! Non vuole bere, poi, appena comincia la salita, ha sete…”
I cani di Villa Pamphili, i cani di Monteverde, i cani di Roma. Numerosissimi, tanto che qualche pia signora rabbridisce e sibila, come una staffilata: “Più cani che bambini!”
Qualche anno fa, andavano di moda i rottweiler, incorniciati da minacciosi collari puntuti, al guinzaglio dei bulli di quartiere.
All’ultimo Natale di Roma prima della pandemia, i figuranti fecero sfilare, lungo i Fori Imperiali, dei molossi da combattimento, tutti assolutamente in parte.
Un uggiolio.
Stan