Mia cara Berenice,
a volte, più direttrici convergono morbidamente su un punto, come nelle offensive meglio condotte dalla Wehrmacht o dall’Armata Rossa.
È accaduto così che la mia vicina, custode amorevole del giardino condominiale, mi regalasse un mazzetto di menta e il mio moribondo albero un limone. Con l’ulteriore aggiunta di una caraffa piena d’acqua, ne è uscita una discreta limonata a cui avrebbe giovato un pizzico di zucchero di canna; ma, goloso di dolci come sono, ho l’ipocrita scrupolo di non zuccherare le mie bevande.
Limonata, la mia ambrosia… perfino nella veste meno nobile, quella gasata in lattina o in bottiglietta.
Al bistrot di Villa Pamphili ne servono una davvero particolare, tanto che uno chef televisivo sentenzierebbe forse: “Non è limonata!” Trattasi di un blocco granuloso e verdastro, gradevolissimo peraltro per consistenza e sapore.
Al mio ristorante kosher preferito del Ghetto di Venezia ne ordinavo sempre una in cui era immerso un ubertoso rametto di menta e un bastoncino – credo – di zenzero o vaniglia.
In certi bar, viene offerta in grossi boccioni, in cui i mezzi limoni galleggiano come pesci tropicali in un acquario.
“Se la vita ti dà limoni,” ama dire N., “fai limonata”.
Un saluto asprigno.
Stan