Mia cara Berenice,
ti scrivo dal tavolino marmoreo di una pasticceria di Termini, dove sono precipitato, come il Re Travicello del Giusti, in preda a un sonno profondo.
Scorrendo la vetrina, ho notato che era disponibile un mini-maritozzo. Occasione d’oro, se pensi che, in tanti anni trascorsi a Roma, non ne ho mai assaggiato uno, scoraggiato dalle dimensioni e dalla quantità di panna di quel tipico dolce, proibitive perfino per me.
Me ne vidi passare uno sotto al naso, simile a un ordigno pulsante, poco tempo fa in un celeberrimo ristorante dell’Isola Tiberina. Come ti ho già spiegato, in certi ristoranti storici di Roma si usa offrire al cliente un servizio un tantino informale, un tantino irriverente e canzonatorio. Così, al commensale di una tavolata di medici radiologi che aveva dichiarato di non volere il dessert, il cameriere posò bellamente davanti il gigantesco maritozzo.
Torniamo, però, a noi. Ordinato il mini-maritozzo e una spremuta d’arancia, ho accennato a sedermi al tavolino, quando la cameriera mi ha richiamato: “Guardi, deve esibire il green pass”.
Nessun problema, naturalmente… salvo quello di usare questa locuzione inglese. Non sarebbe meglio “lasciapassare sanitario”? Consentirebbe anche ai complottisti di levare più alti e intonati i loro lai.
Poiché peraltro rimaniamo nella culla del diritto – inglese o non inglese -, già sento fiorire le dispute giuridiche. Mentre ti scrivo, cameriera e caposala discutono se sia lecito chiedere l’esibizione del pass ai turisti americani.
Un pandettistico saluto.
Stan