Mia cara Berenice,
narra la leggenda che, a Roma Nord, tutti possiedano una Smart. Dopo alcuni giorni passati nel cuore profondo dei Domini di Terraferma, la cruda realtà mi dice che qui tutti possiedono un’Audi, un’Alfa, un SUV o un SUV Audi. Lo stesso patriarca ha un’Alfa a gas e, siccome quest’ultima richiede piccole quantità di benzina per l’avviamento e l’indicatore era in profondo rosso, mi ha chiesto di provvedere.
Mi sono dunque diligentemente incolonnato a una pompa bianca e, per la prima volta da molto tempo, le mie narici sono state solleticate dall’odore pungente della benzina.
Proustianamente, sono stato sbalzato all’indietro, sbattuto sul sedile posteriore della mia infanzia.
Fra i compiti per casa, vi era quello di stilare un elenco di odori che mi piacessero e, con la mia rotonda calligrafia – ahimè, perduta come una voce bianca -, inserii, in coda all’elenco, l’odore della benzina. Mia madre mi costrinse a depennarlo, perché – sentenziò – quello della benzina è un odore sgradevole per definizione.
Il giorno dopo, nelle minuscole scuole elementari di campagna di F., S. venne invitato a leggere il suo elenco e, subito dopo l’odore di un formaggino industriale, snocciolò – lo ricordo come fosse ora – l’odore della benzina.
Anni dopo, nelle pagine di un autorevole esponente della letteratura, trovai nuovamente citato il carburante come esempio di sollazzevole profumo. “Ecco, madre,” urlai mentalmente, in un grido strozzato di trionfo e dolore, “hai sbagliato”.
Lo definirei un esempio particolarmente icastico, per quanto indubbiamente melodrammatico, di emancipazione.
Se Nerone o Norman Bates avessero squarciato il loro petto con un grido simile, probabilmente il primo non avrebbe fatto sventrare la madre da un fante di marina e il secondo – per restare in tema acqueo – non avrebbe intasato di sangue femmineo gli scarichi delle docce.
Un catabasico saluto.
Stan