Mia cara Berenice,
il treno per Roma corre nel sole che infiamma i finestrini.
Un bambino piange e grida in lontananza, all’orizzonte della Carrozza 10.
Una cinese dalle vistosissime ciglia finte parla al telefono concitatamente, ma a voce non troppo alta. All’inizio del viaggio, era letteralmente seduta sulla sua stessa valigia, poi il capotreno l’ha aiutata a sistemarla forse nella cappelliera, forse in qualche rastrelliera.
L’altra capotreno va in processione fra i sedili, oscillando il palmare come un turibolo e salmodiando: “Prima lettera del codice biglietto e indossiamo la mascherina correttamente, grazie!”
Di nuovo il suo collega, all’interfono: “Per errore, l’avviso di arrivo è stato dato in anticipo. Arriveremo alla stazione di Santa Maria Novella, in orario, tra dieci minuti. We will arrive at Santa Maria Novella on time, in ten minutes. Thank you”.
Un ragazzone dall’accento campano – il treno termina la corsa a Napoli – si lamenta del freddo.
Cartoncini penzolanti dai sedili pubblicizzano Uber, con buona pace delle file di taxi bianchi in perenne attesa a Termini e perfino a Monteverde.
Il libro di racconti di D’Annunzio è meglio del previsto. L’avevo acquistato sull’onda dell’entusiasmo per il film ed ero quasi certo di pentirmene.
Un sonnacchioso saluto.
Stan